Polizia russa a caccia di migranti nei mercati. Boom di tagichi arruolati e spediti al fronte

Rastrellati e mandati a combattere (e morire). Con la promessa del passaporto

Polizia russa a caccia di migranti nei mercati. Boom di tagichi arruolati e spediti al fronte
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La polizia di Mosca, di San Pietroburgo e di altre grandi città della Russia è a caccia di immigrati nei mercati di frutta e verdura. Lo stile è quello solito, duro e intimidatorio, con i passamontagna neri calati sul volto, i giacconi imbottiti e le armi bene in vista. Irregolari da controllare o da espellere? Operazioni antidroga, per scovare la cocaina nascosta sotto i cavolfiori? Ma no.

Oggetto della ricerca sono i lavoratori stranieri regolari, anzi regolarissimi: quelli che hanno ottenuto la cittadinanza russa dopo anni di oneste fatiche e di residenza nel Paese. E la polizia non si presenta da sola a questi raid, ma in compagnia di funzionari degli uffici della coscrizione nelle forze armate. Perché quello che cercano sono i «nuovi russi», quasi sempre delle Repubbliche ex sovietiche dall'Asia centrale, che hanno intascato il passaporto fiammante con l'aquila a due teste, ma hanno ritenuto che il servizio militare fosse cosa che non li riguardasse.

Grave errore, il loro. Perché la Russia di Vladimir Putin, alle prese con una guerra con l'Ucraina che ha scatenato ma da cui non riesce più a districarsi, non sapendo cosa inventarsi per rimpolpare i ranghi dei combattenti implacabilmente sfoltiti da un nemico all'offensiva, ricorre a ogni mezzo pur di evitare una nuova mobilitazione. Scelta che sarebbe, al Cremlino lo sanno benissimo, quanto mai impopolare. E dunque, dopo gli arruolamenti dei galeotti affidati alla brigata mercenaria Wagner nel frattempo esautorata, dopo le campagne pubblicitarie che invitavano i giovani russi a «dimostrare di essere uomini» arruolandosi (ma quasi tutti hanno fatto finta di niente, così sono arrivati in segreto i cubani pagati mille euro al mese), dopo le visite dei propagandisti dell'esercito nelle scuole in cui già da tempo si insegna teoria e pratica militare, dopo la riforma burocratica che rende non più aggirabili gli ordini ricevuti online o per posta di presentarsi nelle caserme, ecco la polizia a caccia di ortolani kirghisi e tagichi da mettere in divisa.

Tagichi soprattutto, risulta. E uno magari si domanda perché proprio dal Tagikistan arrivino così tante richieste di cittadinanza russa (solo nella prima metà di quest'anno, 87mila), in piena controtendenza rispetto al calo generale spiegabile proprio con l'entrata in guerra della Russia. Per capirlo, serve ricordare che nascere in Tagikistan non è esattamente un colpo di fortuna. È un angolo povero e isolato del mondo turchestano, incassato tra le altissime vette del Pamir, che nel secolo scorso si è beccato settant'anni di imperialismo sovietico, prima in salsa leninista poi staliniana: si chiamavano Picco Stalin (poi del Comunismo) e Picco Lenin, per dire, le due più alte vette tagiche e dell'intera Unione.

Ottenuta un'insperata indipendenza con la fine dell'Urss nel 1991, si è provveduto a ribattezzare le montagne con nomi islamici, ma l'autoritarismo è rimasto e con esso la miseria nera. Aggravata dall'ignoranza: in Tagikistan l'unica alternativa alla plumbea tv locale sono i canali russi, che trasmettono una distorta idea rosea del Paese degli ex padroni.

Così, molti vanno in Russia sperando in una vita migliore e nell'assimilazione. Poi arriva la polizia tra i banchi delle susine, e il passaporto tanto desiderato si trasforma in un biglietto di sola andata per il fronte.

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