Il permesso concesso a Emilio Fede dal tribunale di sorveglianza di Milano per raggiungere Napoli e festeggiare il 90esimo compleanno con Diana De Feo, la donna con la quale è stato sposato per 56 anni, non è servito a spegnere insieme le candeline. Lei è morta il 23 giugno, il giorno prima, e il viaggio di Fede da Milano a Napoli ha avuto come ben più triste destinazione la chiesa di San Gennaro ad Antignano, al Vomero, dove giovedì si sono celebrati i funerali dell'ex senatrice. Poi il giornalista è tornato al suo albergo, davanti a Castel dell'Ovo, con la sua badante: è in sedia a rotelle come conseguenza di una brutta caduta e di un successivo intervento chirurgico non perfettamente riuscito. E in piena notte qualcuno ha bussato alla porta della stanza. Erano due poliziotti, incaricati di «verificare» la regolarità del soggiorno partenopeo dell'ex direttore, che, condannato a 4 anni e 7 mesi nel processo Ruby bis, sta scontando 4 anni di affidamento ai servizi sociali dopo aver passato 10 mesi ai domiciliari.
Era successo già un anno fa, quando Fede fu arrestato a Napoli mentre era al ristorante con la moglie, alla vigilia del suo compleanno. Un disguido, una richiesta mandata dopo la partenza e non prima, che si risolse in fretta, e oltre a riuscire a tagliare la torta con Diana, Fede vide andare in archivio anche i domiciliari. Stavolta invece l'ex direttore del Tg4 non aveva nulla da festeggiare, e quell'ora trascorsa sveglio in piena notte a tirar fuori carte e documenti per i due poliziotti se la sarebbe risparmiata volentieri, visto anche il triste frangente. Ma nonostante l'indelicatezza e la scellerata scelta temporale, il giornalista non ce l'ha con gli agenti che l'hanno buttato giù dal letto. «Tutto si è risolto in un chiarimento, lungo e alle quattro di notte in hotel, ma assolutamente non offensivo per nessuno, e con una stretta di mano», racconta Fede all'AdnKronos, ammettendo: «per me è stato un grande dolore». Dispiacere, ma anche «grande rispetto alle forze dell'ordine», aggiunge il giornalista, «lo stesso che aveva sempre mia moglie e che io devo continuare ad avere, anche per rispetto alla sua memoria». Meno indulgente la presidente dei senatori azzurri Anna Maria Bernini, che condanna «l'inaccettabile deriva da stato di polizia giudiziaria» e «l'accanimento inaudito» su un uomo di novant'anni.
Il problema è che il tribunale di sorveglianza obbligherebbe Fede a dormire a Villa Lucia, la dimora neoclassica al Vomero dove abitava la moglie. «Ma non me la sento di stare accanto alla camera dove lei non c'è più», dice lui, spiegando di preferire l'hotel anche a costo di «rischiare qualunque cosa», come l'inopinata sveglia notturna per verificare un permesso chiesto e regolarmente ottenuto.
«Chiederò per pietà di cambiare questa cosa, che è una tragedia nella tragedia», sospira Fede che, magistratura permettendo, tornerà a Milano non appena seppellita sua moglie: «Mi chiedo - conclude l'ex direttore quante volte sotto la toga c'è un codice penale e quante volte c'è un cuore».
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