Via Poma, una nuova indagine 32 anni dopo. Verifiche sugli alibi e sull'orario della morte

La commissione antimafia esamina le indagini. Un fascicolo in Procura

Via Poma, una nuova indagine 32 anni dopo. Verifiche sugli alibi e sull'orario della morte

Roma. Via Poma: 32 anni senza un colpevole. Adesso la Commissione parlamentare antimafia vuole acquisire gli elementi trascurati da chi indagava, mentre la Procura di Roma apre un nuovo fascicolo, contro ignoti, per omicidio volontario. Un atto necessario per ascoltare nuovi e vecchi testimoni. Fra questi l'allora capo della squadra mobile, Antonio Del Greco, che si era presentato a piazzale Clodio con nuove prove su un vecchio sospetto. È il terzo uomo, dopo le accuse cadute nel vuoto a Pietro Vanacore, il portiere dello stabile nel quartiere Prati dove viene assassinata Simonetta Cesaroni, e Raniero Busco, il fidanzato della vittima assolto in secondo e terzo grado. Una donna smentirebbe l'alibi fornito a suo tempo dal personaggio misterioso il cui ruolo era stato archiviato.

Ma da marzo, quando Del Greco si presenta in Procura, a oggi i magistrati non avrebbero trovato elementi utili per credere al nuovo teste. Si riparte da zero? Non si direbbe stando ad altri indizi, tutti basati sugli orari messi agli atti e che oggi risulterebbero «sballati». A cominciare dall'ora della morte, tra le 17,30 e le 18,30 di quel maledetto pomeriggio del 7 agosto 90, quando la Cesaroni viene uccisa con 29 coltellate. Finora le indagini ruotavano su un punto fermo: alle 17,15 Simonetta riceve una telefonata. Alle 17,30 è ancora viva per la polizia e, probabilmente, non è sola in ufficio. Con lei c'è il suo assassino. Una persona conosciuta dalla donna, che vuole violentarla ma non ci riesce, la immobilizza e la massacra di coltellate.

Gli orari che non quadrano sono anche la condanna per Pierino Vanacore, costretto al suicidio nel 2010, nonostante fosse stato da tempo scagionato. È la prima vittima del giallo, dopo la Cesaroni. Vanacore non era assieme agli altri portieri nel cortile dell'edificio fra le 17,30 e le 18,30, l'ora che si crede del delitto. Alle 17,25, poco prima, l'uomo era in una ferramenta vicina ad acquistare una smerigliatrice, un frullino. La sera Vanacore è a casa dell'architetto Valle: Vanacore sostiene alle 22,30, Valle alle 23. Uno scarto che alimenta i sospetti della polizia. La scientifica, inoltre, trova nei suoi calzoni tracce di sangue e senza attendere l'esame di laboratorio lo ammanetta. È lui l'assassino di Simonetta, almeno è quello che credono gli uomini di Del Greco. Vanacore trascorre 26 giorni in carcere prima di essere scagionato. Il sangue è il suo, soffriva di emorroidi, e sui suoi vestiti, indossati per tre giorni di seguito, non c'è il Dna della Cesaroni.

Trentadue anni di indagini, errori giudiziari a valanga (l'arma del delitto non venne mai trovata perché non si svuotarono i cassonetti della spazzatura), decine di piste per quello che passerà alla storia come il delitto perfetto. Un caso in cui si intrecciano trame oscure, servizi deviati e criminalità organizzata, come la Banda della Magliana. Dentro la società che lavorava con l'Associazione Alberghi della Gioventù le prove di favori fatti alla banda di Abbatino con il benestare del Vaticano e la complicità dei servizi segreti che avrebbero avuto una sede nello stesso edificio. Documenti mai trovati.

C'è poi il depistaggio di un informatore austriaco, un oscuro personaggio, Roland Voller, che accusa del delitto Federico Valle, nipote dell'architetto.

Lo scenario più accattivante? L'intreccio di affari illeciti scoperti dalla Cesaroni dei servizi, affari sporchi connessi con programmi di cooperazione e sviluppo della Somalia. Tanto da mettere in collegamento la sua morte con il suicidio nel '95 del colonnello del Sismi Mario Ferraro.

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