Le pompe funebri: "Siamo al limite"

Code di clienti, attese di 10 giorni per le cremazioni. E le bare si accumulano

Le pompe funebri: "Siamo al limite"

«La cosa peggiore è quando realizzano che non vedranno mai più i loro parenti, deceduti in casa di riposo dopo due settimane in cui le visite erano sospese per l'emergenza». Alberto Chiari ha un'espressione contrita, sinceramente dispiaciuta. Non è quella faccia professionale e «ufficiale» che ogni impresario delle pompe funebri assume davanti ai clienti, ma compassione vera, «perché ti si stringe il cuore quando un figlio capisce che non vedrà più il volto della mamma o del papà perché l'esposizione della salma è vietata».

Alberto e il fratello Matteo sono i titolari dell'Impresa Dolara, storica azienda di Cremona di proprietà della famiglia. Seicento funerali all'anno di media, ma da una settimana si viaggia a oltre otto al giorno. E non solo in città. Lodi, Piacenza, Crema. Code di famiglie fuori dall'ufficio (rispettando la distanza), cose mai viste prima: «Abbiamo perfino dovuto mettere il cartello in cui si chiede di entrare in massimo due parenti».

Le immagini delle bare in chiesa a Bergamo ha fatto il giro d'Italia, «ma anche qui il sistema è a un passo dal collasso», spiega. Le case di riposo implorano le imprese di portare via i deceduti il prima possibile, perché non hanno spazi per allestire le camere ardenti. Ma gli obitori sono al limite e anche i Comuni della zona riescono a malapena a far fronte ai loro deceduti. Il risultato è che non si sa dove mettere le salme. I parroci aprono le chiese, i sindaci provano ad adibire locali pubblici, ma il caos è vicino. C'è poi il problema dei forni crematori: «In quello di Cremona l'attesa è di dieci giorni - continua Chiari -. Le casse per la cremazione non sono in zinco, lasciarle dieci giorni in giro non è pensabile, e allora magari si opta per l'inumazione. E si aprono altri problemi, perché l'ossario non basta, bisogna acquistare un loculo che a volte manca, e anche gli uffici comunali vanno in tilt burocraticamente». Senza contare il personale: «I nostri dipendenti sono stremati, fanno straordinari da settimane, affiggere i manifesti nei paesi è diventato impossibile». E i centri servizi che assicurano alle imprese lombarde addetti ai servizi cimiteriali e carri funebri non riescono fisicamente a tenere il ritmo.

Insomma, l'alto numero di decessi in una zona ristretta sta mettendo in crisi l'intero sistema. Che non dipende da una cabina di regia unica, ma dalle iniziative dei Comuni. I quali cercano di venire incontro alle esigenze degli impresari, magari allentando la giungla di regole, documenti e burocrazia incompatibile con questi numeri. L'emergenza influisce anche sulle reazioni dei congiunti: «C'è chi non rinuncia a pianificare ogni dettaglio, chi sceglie soluzioni sobrie e chi chiede come faccio a sapere se nella cassa c'è mia madre, se non la posso vedere?». In tutto questo marasma, anche gli impresari non vivono un momento semplice, nonostante alcuni gli dicano: «Beati voi, siete gli unici a fatturare». «Avendo spesso a che fare con parenti di deceduti di coronavirus - racconta Alberto - la preoccupazione c'è.

Nessuno ci ha fornito le mascherine, ma ce le siamo procurate da soli». Non saranno eroi come i medici e gli infermieri che curano i malati, ma se crollano loro, il rischio è che le famiglie non trovino pace neppure dopo che il virus si è portato via i loro cari.

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