Portò i fiori al figlio morto. Papà di Rigopiano a processo

Accusato di non aver pagato la multa di 4.550 euro per aver violato i sigilli dell'hotel. Salvini: «È pazzesco»

Portò i fiori al figlio morto. Papà di Rigopiano a processo

Il premier Giuseppe Conte, due giorni fa, ha inviato una lettera critica al primo ministro pachistano per come è stata gestita, in quel Paese, la vicenda giudiziaria di Sana Cheema: la 25enne ammazzata per essersi opposta al matrimonio combinato che il padre voleva imporle, omicidio per il quale tutti i parenti alla sbarra sono stati assolti per «mancanza di prove».

L'iniziativa del nostro presidente del Consiglio è stata valutata come un atto di civiltà, al pari dell'eventualità (remota per non dire impossibile) di riprocessare in Italia i presunti killer si Sana.

Ma come la mettiamo se questa nostra «civiltà» (contrapposta alla «sentenza choc» del tribunale pachistano) si trova poi a fare i conti con un caso «interno» - fatte le debite proporzioni - altrettanto choc?

Ci riferiamo alla vicenda paradossale del signor Alessio Feniello, 57 anni, salernitano, che il 26 settembre si ritroverà alla sbarra per aver «violato i sigilli giudiziari apposti attorno all'Hotel Rigopiano».

Ma perché il signor Feniello violò i «sigilli»? Per rubare? Per scopi criminali? Per commettere reati?

No, per mettere dei fiori sul luogo dove il figlio 28enne, Stefano, era morto a causa di quella dannata valanga che il 10 gennaio 2017 travolse l'albergo, portandosi via la vita di 29 persone.

Per questa «colpa» Alessio Feniello dovrà presentarsi davanti al giudice per dar conto del suo rifiuto di pagare la multa di 4.550 euro comminatagli dopo che era stato colto, con i fiori in mano, in «flagranza di violazione dei sigilli».

Non è chiaro chi, materialmente, abbia avuto l'infelice idea di multare il 21 maggio scorso il gesto di amore di un padre nei riguardi della memoria del figlio, ma certo è assurdo che questa storia sia arrivata in tribunale con tanto di «decreto di giudizio immediato» firmato dal gip del tribunale di Pescara: giudice sicuramente preparato e irreprensibile ma che ignora - altrettanto sicuramente - il concetto di «umana opportunità», che non figura tra le codificate fonti di diritto, ma che chi indossa una toga dovrebbe comunque tenere presente. E, purtroppo, non è stato questo il caso.

Risultato: un padre che per principio (e noi siamo con lui ndr) si oppone al pagamento di una multa illogica diventa la rappresentazione plastica di una burocrazia normativa senz'anima e priva di cervello. Prima il «decreto di condanna» per il mancato pagamento della multa, poi «il giudizio immediato»; «immediato», aggettivo confliggente con l'italica lentezza legislativa, ma che viene rispolverato per processare un padre «reo» di deporre rose sulla tomba di ghiaccio del figlio.

«Ho sempre sostenuto che avrei affrontato il processo», ha scritto Alessio Feniello sulla sua pagina social. Stefano, il figlio rimasto sepolto sotto la neve, si trovava all'Hotel Rigopiano insieme alla fidanzata per festeggiare il compleanno di lui e i loro cinque anni insieme. Lei è sopravvissuta, Stefano inizialmente era stato indicato fra i superstiti. La speranza. Poi le lacrime. E la famiglia che lo riconosce da un tatuaggio.

«Con la luce del telefonino, finché la batteria ha retto, ho illuminato il braccio di Stefano. Vedevo solo il suo braccio. Si lamentava, lo chiamavo ma non rispondeva. Poi non l'ho sentito più neanche lamentarsi», aveva raccontato la ragazza.

«Era la loro prima vacanza assieme, quei fiori che ho deposto il 21 maggio era un modo per ricordare

Stefano, sentirlo vicino ancora una volta», le parole di papà Alessio.

«È pazzesco, andrò al processo con lui», l'impegno del ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Non servirà a nulla, ma un Paese vive anche di gesti simbolici.

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