Lo so che è un dato che dispiacerà a una buona parte dei lettori del Giornale, ma occorre dirlo: l'Italia è un paese ove le idee liberali sulla gestione dell'economia godono di un seguito sempre più circoscritto, specie nel settore dei cosiddetti servizi di welfare, come la sanità o l'istruzione. È quanto emerge, tra l'altro, dall'ultimo rapporto Demos sulla società italiana, curato da Ilvo Diamanti assieme, tra gli altri, a Fabio Bordignon e Luigi Ceccarini e pubblicato ieri da Repubblica. Molti dei dati presentati confermano un quadro noto da tempo. Gli italiani mostrano un sempre minor consenso nelle istituzioni e in particolare nei partiti (fiducia al 6%), tanto che addirittura quasi metà degli intervistati (48%) arriva a ritenere che «la democrazia può funzionare senza partiti politici». Ma c'è sfiducia anche verso i sindacati, le banche, la magistratura e, per poco più di metà del campione, nei confronti del presidente della Repubblica: una figura per la quale la diminuzione di stima era iniziata con Napolitano ed è proseguita con Mattarella. E c'è insoddisfazione per il funzionamento di tutti i servizi: dai trasporti alle scuole, alla sanità. Quelli forniti da entità pubbliche riscuotono un consenso minore di quelli gestiti dai privati.
Ma, fatta eccezione per la sanità privata (che registra una soddisfazione pari al 57%, con una accentuazione nelle regioni del Nord), anche questi ultimi sembrano suscitare più critiche che plausi. È anche per questa circostanza che e questo è il dato che forse più colpisce nell'intero Rapporto l'ipotesi che i privati possano gestire più efficacemente e con meno sprechi attività, come la sanità o l'istruzione, riservate tradizionalmente alla gestione pubblica, suscita sempre minore approvazione. Una maggiore presenza del privato in questi settori è auspicata oggi da meno di un quarto degli italiani, con una diminuzione rispetto a quanto rilevato negli anni precedenti. Insomma, l'idea, tipicamente liberale, che il privato possa fornire un servizio più efficiente e, magari grazie alla competizione che si può instaurare anche in questi settori, in certi casi meno costoso per la collettività, sembra trovare progressivamente meno consensi. E ciò malgrado l'estesa insoddisfazione, registrata anche da queste ricerche, che il settore pubblico, tranne rare e lodevoli eccezioni, ha suscitato sin qui.
Sembrerebbe, insomma, una posizione più legata a una sorta di convinzione ideologica che al frutto dell'esperienza concreta. Ma, proprio per questo, sarebbe utile che anche i fautori dell'iniziativa privata analizzino criticamente questi dati, in modo da rendere le loro iniziative e la loro comunicazione più persuasive.
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