È una sorta di pensiero ricorrente e inconfessato quello che circola dentro la maggioranza in merito a una eventuale tassazione degli extraprofitti delle banche, delle assicurazioni e dei produttori di energia. Complice la caccia alle risorse che accompagna ogni manovra di bilancio, tra le diverse ipotesi al vaglio dei tecnici, è tornata sul tavolo l'idea di tassare quei profitti che gli istituti avrebbero ottenuto non tanto per propri «meriti» quanto piuttosto per condizioni di mercato favorevoli, come ad esempio l'aumento dei tassi di interesse. Sulla questione la maggioranza è divisa, con Forza Italia contraria a una misura che suonerebbe come illiberale, mentre Fratelli d'Italia e Lega non hanno lo stesso approccio draconiano. L'idea aveva già preso piede lo scorso anno per poi essere rimodulata con la previsione di due possibilità per gli istituti di credito: versare l'imposta o destinare quei soldi al rafforzamento del loro capitale. Alla fine tutte le banche optarono per la seconda. Dopo che il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ha smentito che l'ipotesi sia al vaglio di Via XX Settembre, il responsabile economico di Fratelli d'Italia, Marco Osnato due giorni fa ha nuovamente riacceso la scintilla, dichiarando che «se necessario chiederemo un contributo alle banche». Parole che non sono passate inosservate dalle parti di Forza Italia. «Il concetto di extraprofitti non esiste in alcun manuale di economia di base» fa notare il responsabile dei Dipartimenti azzurri, Alessandro Cattaneo (nella foto). «L'unica esperienza tentata durante il governo Draghi sulle società energetiche è stata fallimentare, con introiti irrisori rispetto a quanto ci si era prefissato. Bisogna capire che esistono solo i profitti non gli extraprofitti e se ci sono anomalie spetta all'Antitrust verificare. D'altra parte definire il perimetro di un profitto e capire quando diventa extra diventa molto aleatorio. Di certo si tratta di un intervento che innesca mancanza di fiducia tra Stato e grandi player, provoca riverberi sulle Borse e determina un saldo fortemente negativo anche per lo Stato stesso». C'è poi la difficoltà di individuare gli ambiti e le modalità di applicazione. «Su cosa si calcola l'extraprofitto? Rispetto all'ultimo anno, alla media degli ultimi tre anni? E poi su soggetti economici che operano in diversi ambiti ci si limita a un solo ambito o si prendono in considerazione i vari rami d'azienda? Parliamo insomma di un provvedimento che si è già dimostrato inutile, la cui quantificazione è aleatoria e che è difficile da portare a casa. Inoltre per noi liberali non è tollerabile una misura del genere. Ogni intervento dello Stato è invasivo e altera le condizioni naturali dello mercato». Cosa fare allora? «Se ci sono problemi specifici la via migliore è aprire dei tavoli e dialogare con i diversi soggetti. Faccio un esempio: se ci sono le aziende del settore energia che guadagnano molto e i grandi energivori che perdono non credo sia interesse dei primi che questi falliscano.
In ogni caso siamo certi che nel governo non si manifesteranno distanze, c'è un clima di condivisione degli obiettivi e il governo Meloni si dirigerà verso la sua terza Legge di Bilancio con idee chiare e una visione coerente». E per quanto sia prematuro immaginare la modalità, il faro acceso sull'Ires, la tassa sulle società, è una prima indicazione.
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