Il giorno di Draghi fuori dal Palazzo al centro vaccinale "Qui ho capito che ne usciremo"

Il premier all'hub di Fiumicino lancia la campagna: "Triplicheremo le somministrazioni". Appello alla collaborazione: "Serve l'aiuto di tutti. Aspettiamo il nostro turno come ha fatto in modo encomiabile Mattarella"

Il giorno di Draghi fuori dal Palazzo al centro vaccinale "Qui ho capito che ne usciremo"

Parla tredici minuti Mario Draghi. E nonostante un protocollo piuttosto rigido e che prevede la lettura di un intervento scritto, alla fine fa trasparire il suo personale approccio a quella che, evidentemente, è la giornata più impegnativa da quando è arrivato a Palazzo Chigi. C'è da conciliare «sacrificio» e «speranza», due immagini sì distanti, ma anche complementari. Perché la visita all'hub vaccinale di Fiumicino non serve solo a lanciare pubblicamente la campagna dei vaccini e sminare possibili diffidenze su AstraZeneca, ma anche a spiegare al Paese il drastico cambiamento nella geografia dei colori delle Regioni approvato in mattinata dal Consiglio dei ministri. Alcune hanno fatto addirittura il doppio salto, dal giallo al rosso. E il fatto che il presidente del Consiglio ci metta la faccia non è un dettaglio.

Anche per questo, nonostante le sue note resistenze ai riflettori, Draghi decide di prestarsi. Non solo a favore di telecamere, ma anche in un luogo simbolo come il parcheggio a lunga sosta dell'aeroporto di Fiumicino, adibito ad hub vaccinale dalla Regione Lazio e dalla Croce Rossa. Il posto giusto per non sottrarsi alle scelte fatte: quella di un lockdown di fatto fino a Pasqua, ma anche quella di accelerare sulla campagna vaccinale. Ed è questo il punto su cui si sta concentrando con tutte le sue forze l'ex presidente della Bce. Perché, è il senso delle parole di Draghi, i vaccini sono l'unico strumento per vincere la pandemia. Il piano messo in campo da Palazzo Chigi, spiega infatti il premier, ha come obiettivo quello di «triplicare» il ritmo giornaliero di somministrazioni (che oggi è di circa 170mila dosi). Per questo, insiste il presidente del Consiglio, «si vaccinerà non solo negli ospedali ma anche in palestre, aziende, parcheggi». Con una buona prospettiva, se corrisponde a verità la previsione che stanno facendo in queste ore alla Protezione civile. Stando a quanto trapela dai vertici della struttura guidata dal generale Francesco Figliuolo, infatti, sarebbe possibile vaccinare quasi tutti gli italiani prima dell'estate. Così fosse, sarebbe davvero un successo. Per il Paese, ovviamente. E - politicamente parlando - per il governo.

Non a caso, questo è l'obiettivo che si è posto Draghi. Che, però, si guarda bene dal dirlo pubblicamente. A differenza del suo predecessore, infatti, sul fronte della comunicazione il presidente del Consiglio è intenzionato a non avventurarsi in promesse che potrebbero non essere mantenute. Il suo - dice chi lo conosce bene da tempo - è un profilo «normale» e «istituzionale» allo stesso tempo. Un po' dovuto a una legittima prudenza rispetto a una comunicazione politica che nell'ultimo decennio è diventata bulimica, un po' condizionato da una certa timidezza. Che, va detto, qualcuno ha colto non solo nel videomessaggio della scorsa settimana al ministro Elena Bonetti, ma anche ieri. Soprattutto nei passaggi dove Draghi seguiva il testo già scritto. Perché nelle tre-quattro volte in cui il premier ha abbandonato il canovaccio già preparato - la battuta sulle parole inglesi, la digressione sulle misure previste nel decreto legge della «prossima settimana» - è sembrato in verità molto più empatico e a suo agio. E così è andata ieri, quando è entrato nella struttura vaccinale a Fiumicino, prima di sedersi ad ascoltare i due interventi che avrebbero preceduto il suo. «Entrando qui, ho capito che ne usciremo», si è lasciato scappare. D'altra parte, quando era alla Bce è stato proprio lui a inaugurare il format della conferenza stampa mensile, ragion per cui non è chiaro perché - ormai ad un mese esatto dal suo ingresso a Palazzo Chigi - Draghi continui a preferire la formula che non prevede le domande dei giornalisti. Che, probabilmente, avrebbe avuto un impatto molto più forte sul messaggio che il premier ha voluto lanciare ieri.

A partire dal «dare nuovo vigore alla campagna vaccinale». Per seguire con l'ordine con cui gli italiani saranno convocati per i vaccini, che terrà conto dell'età e dalle condizioni di salute.

«A tutti - è l'appello del premier - chiedo di aspettare il proprio turno, come ha fatto in maniera esemplare il presidente della Repubblica. È un modo di mostrarci una comunità solidale». Infine, l'appello ai medici: il vostro contributo «è centrale per il successo di questa campagna». Come a dire, non fatevi intimidire da incidenti di percorso e inchieste.

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