Prigozhin alza il tiro e punta dritto su Putin. Rifiuta gli ordini e inizia la sua campagna

Entro luglio deve regolarizzare i Wagner. O diventerà l'oppositore numero uno

Prigozhin alza il tiro e punta dritto su Putin. Rifiuta gli ordini e inizia la sua campagna
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Sfida finale per il Cremlino? È probabile, ma nella Russia di oggi la vittoria non passerà per una consultazione elettorale. Il duello di potere tra Vladimir Putin e il suo ex fedelissimo Evgeny Prigozhin potrebbe comunque arrivare a una conclusione, potenzialmente fatale per uno dei contendenti, entro i primi di luglio. A porre fine alle ambiguità è stata una rapida sequenza di gesti difficilmente equivocabili: Putin ha ordinato (personalmente: non è un dettaglio) al capo di Wagner di «regolarizzare» la posizione dei suoi mercenari inserendoli nelle forze armate ufficiali, ma Prigozhin ha risposto (seccamente: e neanche questo è un dettaglio) che non intende adeguarsi. La data del 1° luglio, ribadita da Putin, diventerebbe a questo punto non solo il termine ultimo per farla finita con l'indipendenza di movimento della Wagner, ma soprattutto la scadenza di una sorta di sfida all'Ok Corral tra il dittatore in carica e il suo ambizioso concorrente.

Prigozhin svolge un ruolo militare di primo piano in Ucraina, ed è da tempo in polemica al calor bianco con i due responsabili delle forze regolari russe: il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore generale Gerasimov. Il capo di Wagner, abituato a usare anche in pubblico un linguaggio aggressivo e volgare, ha recentemente addirittura affermato che i due «dovrebbero essere fucilati» per la loro conduzione inefficiente della guerra. E Putin non solo non ha preso le difese dei suoi vertici militari ufficiali, ma si è fatto vedere a trattarli in pubblico con aperto distacco.

Prigozhin si fa forte del fatto che i pochissimi recenti successi militari russi in Ucraina sono stati conseguiti dai suoi uomini, tra l'altro a un prezzo di sangue terrificante: a suo dire, Wagner ha perduto al fronte e soprattutto a Bakhmut 20mila uomini, metà dei quali erano carcerati trasformati in mercenari con il miraggio della liberazione dopo almeno sei mesi di servizio. Ma con il tempo, il comandante esperto e brutale che cavava per Putin le castagne dal fuoco nel Donbass, si è trasformato in un ambizioso e vociferante rivale anche politico del Numero Uno. Un uomo che attacca sempre più esplicitamente e finora impunemente - non solo i vertici militari, ma anche lo stesso Putin, sia pure in modo più indiretto e saltuario. Pochi giorni fa, sono comparsi perfino dei manifesti che mostrano Prigozhin nelle vesti di candidato presidenziale.

Non tutti, però, sono convinti che si tratti di una sfida autentica.

Alcuni osservatori arrivano a ipotizzare che a Prigozhin vengano lasciate mano e parola libera per suggerire ai leader occidentali che sia meglio preservare al potere Putin anche in caso di sconfitta russa: meglio un falco guerrafondaio conosciuto che un mezzo matto abituato a ogni brutalità e inquietante anche solo per la sua faccia patibolare. Forse è così, o forse Putin sta giocando come sempre al «divide et impera». Quindici giorni e sapremo la verità.

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