Primarie a marzo, il Pd resta in coma

In crisi di identità, Letta apre a un "convegno costituente" e fissa il voto. Con calma...

Primarie a marzo, il Pd resta in coma

Si scrive «congresso costituente», si legge seduta di autocoscienza collettiva lunga quattro mesi. Dopo le indiscrezioni di giovedì sera, il segretario del Pd Enrico Letta conferma le tempistiche bibliche per l'elezione del nuovo leader. E quindi primarie domenica 12 marzo, quando a confrontarsi nel voto degli iscritti saranno due candidati. Prima della fatidica data, di fatto, i dem saranno in apnea. In una lunga fase di transizione, stretti in una tenaglia tra il Terzo Polo e il M5s. In direzione è lo stesso Letta a dipanare le tappe di un percorso lunghissimo, che partirà il 7 novembre con un «appello alla partecipazione». «Nel mese di gennaio, quanto basta per una riflessione approfondita, avremo un manifesto dei valori e dei principi, frutto del lavoro complessivo», spiega il segretario uscente, che prende per sé il ruolo di «arbitro» della fase congressuale.

Dunque, l'analisi della sconfitta alle ultime politiche durerà fino al 28 gennaio, termine entro cui dovranno essere presentate le candidature alla segreteria nazionale. Poi, scandisce Letta, «ci si confronterà tra gli aderenti, come indica lo statuto, con un voto». Infine le primarie, «per le quali ho pensato alla data del 12 marzo». Dopo aver deposto una corona di fiori sulla lapide di Giacomo Matteotti, nella data del centenario dalla Marcia su Roma, Letta apre «il percorso costituente» del Pd.

Ma dietro la retorica della riflessione profonda, si nascondono le solite trappole interne. Non a caso il candidato in pectore degli ex renziani, il governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini, mette in guardia: «Stiamo attenti a non perderci in discussioni filosofiche mentre gli altri governano. Evitiamo l'abbaglio secondo cui servano tempi infiniti per la rigenerazione del Pd». Bonaccini ancora non annuncia la sua discesa in campo, ma l'avvertimento segna l'inizio della sfida. Il timore, tra i riformisti, è che la dilatazione dei tempi congressuali serva alle altre correnti a far dimenticare il tonfo del 25 settembre e a riannodare i fili di un dialogo con un M5s che ha superato il Pd nei sondaggi.

«Il congresso costituente non si fa in poche settimane», dice infatti il sindaco di Firenze Dario Nardella. Nardella, già vicinissimo a Renzi, si candiderà per la leadership, ma sarà appoggiato dalla corrente di Dario Franceschini e da parte dei Giovani Turchi di Andrea Orlando e Matteo Orfini. Nel mischione degli aspiranti segretari anche l'ex ministro Orlando, che per organizzarsi vorrebbe allungare ancora di più i tempi della fase congressuale, oltre il 12 marzo. Letta ripete l'ovvio: «Siamo all'opposizione», quindi preferisce chiudere ancora le porte ai moderati di centrosinistra come Matteo Renzi e Carlo Calenda. «Parte dell'opposizione ha già trasferito le tende nella maggioranza, non ci faremo prendere in giro», attacca il Terzo Polo. Dimenticate, invece, le stilettate riservate a Giuseppe Conte durante la campagna elettorale. A sinistra, da Giuseppe Provenzano a Nicola Zingaretti fino a Goffredo Bettini, pensano ancora a un'alleanza con il M5s. Qualche segnale in questo senso si potrebbe cogliere venerdì 11 novembre a Roma, quando Bettini presenterà il suo libro «A sinistra da capo» insieme a Orlando e Conte. E però, per il momento, dagli stellati arrivano solo sfide a viso aperto, come l'ipotesi di candidare alla presidenza del Lazio in quota M5s uno tra i due ex Pd di peso Stefano Fassina e Ignazio Marino.

A Letta non

resta che sparare sul premier Giorgia Meloni. Parla di «scelte superficiali e irresponsabili» da parte del governo su Covid e vaccini. Anche sul tetto al contante, per il segretario, siamo davanti a «un pericoloso liberi tutti».

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