La filiera della Cultura vale 255 miliardi, il 6,6% del Pil, dà lavoro ad oltre un milione e mezzo di persone, è volano naturale del turismo e biglietto da visita dell'Italia nel mondo. La filiera della Cultura è la più colpita dalle ricadute economiche della pandemia, la più penalizzata dalle disposizioni «sanitarie». Siamo, dunque, all'anno zero. Si pone al governo un problema enorme: sostenere il settore e riorganizzarlo in previsione di un necessario rilancio. Non è quello che il presidente Conte e il ministro Franceschini stanno facendo. Ad oggi, per l'intero settore è stato stanziato un miliardo sui 75 entrati nelle disponibilità del governo grazie ai due scostamenti di bilancio votati dal Parlamento. Pochi soldi, dunque. E soprattutto nessun progetto. È un problema nel problema. Siamo il Paese europeo col più consistente patrimonio artistico e culturale, ma siamo tra quelli che spendono meno per tutelarlo e valorizzarlo. Peggio di noi solo Portogallo, Cipro e Grecia. Negli anni si sono fatti faticosamente avanti i privati. Semplificare, razionalizzare e incoraggiare questa preziosa sinergia tra pubblico e privato appare, pertanto, l'unica strategia ragionevole. Segnali inquietanti ci fanno invece balenare il sospetto che il governo più culturalmente statalista della storia repubblicana stia imboccando la strada opposta. Leggete qui: «Il ministro Franceschini sta utilizzando la tragedia nazionale della pandemia per raggiungere un obiettivo ideologico di parte: cacciare i privati dal mondo della cultura e rimettere tutto sotto il cappello pubblico». A parlare è Luigi Abete, nella veste di presidente dell'Associazione delle imprese culturali e creative che fa capo a Confindustria. Non è il solo a temerlo. I presupposti lasciano prevedere il peggio. M5s, Leu e buona parte del Pd sono animati da un consolidato pregiudizio nei confronti dei privati che osano varcare i sacri confini delle attività pubbliche e dalla sterile idea che cultura e profitto non debbano avere niente in comune. Secondo Abete così la pensa il ministro dei Beni culturali. Sospetto legittimo.
Sta, ora, a Franceschini dimostrare di avere una visione sul futuro della filiera culturale italiana ispirata a una logica liberale e sussidiaria piuttosto che ad un vetero statalismo tanto costoso quanto inconcludente.
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