Via al processo Becciu. "È l'ora della verità". Ecco cosa non torna

L'accusa "nasconde" carte e verbali, vano il pressing di Pignatone. Udienza il 17

Via al processo Becciu. "È l'ora della verità". Ecco cosa non torna

Dopo più di due anni «finalmente arriva l'ora di dire la verità». Il cardinale Giovanni Angelo Becciu non allontana da sé il calice amaro del processo che da almeno sette mesi lo vede alla sbarra con accuse pesantissime, comunicategli personalmente dal Papa il 24 settembre 2020.

Ieri era l'unico non contumace dei dieci imputati - gli altri sono Enrico Crasso, Tommaso di Ruzza, Cecilia Marogna, Gianluigi Torzi, Renè Brulhard, don Mauro Carlino, Nicola Squillace, Raffaele Mincione e Fabrizio Tirabassi - anzi, ai legali e ai giornalisti dice di essere pronto a rispondere a tutte le domande davanti al Tribunale presieduto dall'ex Procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatore. Vuole quanto prima che si chiarisca la sua innocenza. Sarà lui il primo a parlare il prossimo 17 marzo alla prima udienza, a chiarire perché non esiste alcun peculato sui 125ma euro che sarebbero stati inviati alla diocesi di Ozieri, in Sardegna e alla cooperativa Spes. Secondo l'accusa furono sottratti indebitamente dalle casse vaticane per spartirle coi familiari di Becciu, in qualità di sostituto alla Segreteria di Stato aveva anche l'incarico papale di gestire i fondi riservati e l'Obolo di San Pietro. Ma le carte che la difesa non si stanca di esibire e che il Giornale ha consultato dicono il contrario. Centomila euro sono un prestito chiesto da Becciu per finanziare un'opera meritoria, altri 100mila sono in un conto della Caritas e finanzieranno un forno sociale dove far lavorare persone svantaggiate, gli altri 25mila servono ad acquistare un macchinario andato distrutto in un incendio. Ma tant'è.

Le prove che dimostrano il contrario? Andrebbero chieste ai Promotori di Giustizia, l'ufficio che secondo il rito vaticano conduce l'accusa. Pignatone ha dovuto rigettare tutte le reiterate richieste delle difese perché le prove documentali sequestrate non sono mai state depositate nella loro interezza ma sono in una sorta di limbo, nonostante non una ma due precedenti ordinanze dello stesso Pignatone. Niente da fare. Di fatto, si conferma per l'accusa l'insindacabile potere di giudizio e di valutazione senza contraddittorio su cosa depositare tra verbali e brogliacci stranamente difformi, e cosa non mostrare - tra cui, forse, alcune dichiarazioni dello stesso Papa Bergoglio mai verbalizzate - in nome di non meglio precisate «esigenze di segreto investigativo su altre indagini» o di una presunta «estraneità alle imputazioni». Una sorta di atto di fede, a dispetto dei Santi e del giusto processo che Oltretevere segue evidentemente altri comandamenti.

Per gli altri due filoni ci sarà tempo. Ma in entrambe le vicende molte cose non tornano. La sciagurata compravendita del famoso palazzo di Londra di Sloane Avenue fu portata a compimento quando Becciu era ormai fuori dalla Segreteria di Stato, la presunta subornazione di monsignor Alberto Perlasca, dal 2009 al 2019 a capo dell'Ufficio amministrativo in forza alla Prima sezione della Segreteria di Stato, regista della compravendita immobiliare ma scagionato da ogni accusa dal 18 novembre 2021 perché «raggirato» dai broker - troverebbe fondamento solo nella percezione di Perlasca. Peraltro, almeno quattro interrogatori di quest'ultimo sarebbero a rischio nullità per l'assenza del suo legale, nonostante Pignatone scriva il contrario.

Tutta da decifrare anche la vicenda dei rapporti del cardinale con l'esperta di politica internazionale Cecilia Marogna, reclutata dal Vaticano per i suoi collegamenti con i nostri servizi segreti a gestire i pagamenti dei riscatti dei missionari rapiti dall'Isis in Africa, che ha opposto un «vincolo di segretezza Nato» a

Pignatone perché teme per la sua incolumità, vista la sua esposizione mediatica e il ruolo di femme fatale frettolosamente cucitole addosso da una stampa più a caccia del facile titolo che di una difficile e complessa verità.

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