Prodi grazia Renzi. Per silurarlo dopo le elezioni

L'appoggio dell'ex premier è più uno sgarbo all'arcinemico D'Alema che un sostegno reale

Prodi grazia Renzi. Per silurarlo dopo le elezioni

Roma - «Fa piacere» l'appoggio dato da Romano Prodi al centrosinistra e al Pd, dice Matteo Renzi.

Che incassa con soddisfazione il ceffone prodiano agli scissionisti «divisivi» di Liberi e Uguali: «Con questo sistema elettorale, quelli che votano sinistra radicale fanno un favore a Salvini: ogni voto al partito di D'Alema favorisce il candidato di Salvini e Grillo, è la realtà dei fatti, oggettivamente», tiene sottolineare il leader del Pd. Ironizza sui continui cambi di linea dei Cinque Stelle: «Inseguire Di Maio fa venire il mal di testa». Quanto al centrodestra, «non si capisce cosa sia». Quello sulle futuribili larghe intese è «un dibattito inutile», una sola cosa deve essere chiara: «Noi con gli estremisti, gli antieuro o gli assistenzialisti non andremo mai».

Oggi Renzi sarà a Bologna, città prodiana, a presentare il programma della sua coalizione. Il Professore non ci sarà: «Non farò campagna elettorale», tiene a precisare. Ha gettato lo scompiglio in casa Leu e tanto basta: la Boldrini si duole delle sue parole di condanna. Massimo D'Alema reagisce con la consueta bonomia: «Prodi ha anche fatto un appello a votare sì al referendum. Ogni tanto fa degli appelli, non è detto che vengano raccolti», ironizza.

Ringrazia l'ex premier anche Paolo Gentiloni: «Appartengo a una generazione che crede in un centrosinistra di governo, e dobbiamo ringraziare il fondatore di questa idea di centrosinistra unito di governo, Romano Prodi». Mentre il partitino di D'Alema e Grasso rappresenta «una sinistra che si rifugia nelle proprie convinzioni, nei propri slogan, ma non si pone il problema di governare».

L'«aiutino» di Prodi può dare una mano al Pd nell'attirare sulle proprie liste il cosiddetto «voto utile», togliendo ossigeno alla sinistra anti-Dem. Ma Renzi è il primo a sapere che non si tratta di un endorsement a suo favore: «Il Professore, con quelle parole, si posiziona in area Pd, ma insieme a molti altri attende il dopo-voto - ragiona un esponente Dem - Se poi andrà sotto il 25%, partirà l'operazione derenzizzazione, e lui sarà della partita».

Intanto nel Pd scoppia un nuovo focolaio di guerriglia in Sicilia. Per protesta contro la formazione delle liste («affidata al fedelissimo di Renzi, Davide Faraone»), un gruppetto di dirigenti rimette il proprio mandato e annuncia la formazione di una corrente sobriamente denominata «partigiani del Pd». «Contestiamo le modalità con cui le liste sono state costruite: hanno visto totalmente estraneo il gruppo dirigente siciliano e creato sconcerto nei territori. Abbiamo deciso così di combattere un modello politico padronale che non ci appartiene», tuonano.

Dietro la rivolta, la «epurazione» di alcune candidature della sinistra interna e l'inserimento di nomi «calati dall'alto», come la riconferma della figlia dell'ex ministro Cardinale, che venne eletta la prima volta da Bersani.

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