«Il loro arrivo in Italia ha coinciso con una ripresa delle correnti più integraliste». Era il dicembre del 1990, più di venticinque anni fa, quando Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano e punto di riferimento della Chiesa progressista nel mondo, pronunciò il discorso di Sant'Ambrogio alla città «Noi e l'islam: dall'accoglienza al dialogo», di cui pubblichiamo alcune parti. Un testo che evoca anche il «martirio» per il Vangelo. Si tratta di un documento molto più lungo e articolato: ne abbiamo scelto solo gli stralci legati ai disagi civili e politici nel rapporto tra noi e l'Islam. Martini presenta i problemi da affrontare subito per evitare «focolai di tensioni e di violenze», contrastare i «movimenti fondamentalisti» e cercare un dialogo reale. Il cardinale chiede tra l'altro ai «nuovi venuti» di «accettare le leggi e gli usi», «non esigere trattamenti privilegiati», assimilare «un nucleo minimo di valori». E poi «una giusta reciprocità» e «norme precise e rigorose» per i luoghi di culto. Preliminari senza cui avvicinarsi può essere esplosivo come è ormai diventato oggi, a quattro anni dalla sua morte.
Vorrei solo richiamare qui, prima di abbordare il tema più specifico, un punto che mi è sembrato finora poco atteso e cioè la necessità di insistere su un processo di «integrazione», che è ben diverso da una semplice accoglienza e da una qualunque sistemazione. Integrazione comporta l'educazione dei nuovi venuti a inserirsi armonicamente nel tessuto della nazione ospitante, ad accettare le leggi e gli usi fondamentali, a non esigere dal punto di vista legislativo trattamenti privilegiati che tenderebbero di fatto a ghettizzarli e a farne potenziali focolai di tensioni e violenze.
Finora l'emergenza ha un po' chiuso gli occhi su questo grave problema. In proposito, il recente documento della Commissione Giustizia e Pace della Cei dice: «Non va dimenticata la necessità di regole e tempi adeguati per l'assimilazione di questa nuova forma di convivenza, perché l'accoglienza senza regole non si trasformi in dolorosi conflitti». È necessario in particolare far comprendere a quei nuovi immigrati che provenissero da Paesi dove le norme civili sono regolate dalla sola religione e dove religione e stato formano un'unità indissolubile, che nei nostri Paesi i rapporti tra lo Stato e le organizzazioni religiose sono profondamente diversi. Se le minoranze religiose hanno tra noi quelle libertà e diritti che spettano a tutti i cittadini, senza eccezione, non ci si può invece appellare, ad esempio, ai principi della legge islamica (sciari'ah) per esigere spazi e prerogative giuridiche specifiche.
Occorre elaborare un cammino verso l'integrazione multirazziale che tenga conto di una reale integrabilità di diversi gruppi etnici. Perché si abbia una società integrata è necessario assicurare l'accettazione e la possibilità di assimilazione di almeno un nucleo minimo di valori che costituiscono la base di una cultura, come ad esempio i principi della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e il principio giuridico dell'uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Ci sono infatti popoli ed etnie che hanno una storia e una cultura molto diverse dalle nostre e di cui ci si può domandare se intendano nello stesso senso i diritti umani e anche la nozione di legge. Ciò vale a fortiori dove si verificano fenomeni che genericamente chiamiamo col nome di integralismi o fondamentalismi, che tendono a creare comunità separate e che si ritengono superiori alle altre.
(...) La presenza tra noi non è quindi numericamente molto rilevante, ma si è fatta vistosa negli ultimi anni, anche perché il loro arrivo in Italia ha coinciso con una ripresa delle correnti più integraliste. (...)
(...) Dalla fine della prima guerra mondiale fino ad oggi, vi sono state molte proposte, tendenze, partiti, soluzioni secondo le quali il mondo musulmano, nelle sue diverse ramificazioni, etnie e territori, ha preso coscienza dell'avvento dell'era della tecnica e delle esigenze di razionalità che essa comporta. Bisogna dire però che finora la fede nei grandi «pilastri» dell'islam non sembra aver avvertito in maniera preoccupante la scossa derivante dai principi della modernità. Prevalgono in questo momento le tendenze fondamentaliste (...).
(...) Si fa di ogni erba un fascio, si propugna l'uguaglianza di tutte le fedi senza rispettarle nella loro specificità, si offrono indiscriminatamente spazi di preghiera o addirittura luoghi di culto senza aver prima ponderato che cosa significhi questo per un corretto rapporto interreligioso. Al riguardo saranno necessarie norme precise e rigorose, anche per evitare di essere fraintesi. La posizione corretta è lo sforzo serio di conoscenza (...)
(...) Noi auspichiamo rapporti di uguaglianza e fraternità e insistiamo e insisteremo perché a tali rapporti si conformi anche il costume e il diritto vigente nei Paesi musulmani riguardo ai cristiani, perché si abbia una giusta reciprocità.
(...) Può la Chiesa rinunciare ad annunciare il Vangelo ai musulmani? (...
) Pure nei Paesi cosiddetti liberi ci si scontra talora con chiusure mentali così forti da costituire una barriera. Allora la proposta assume la forma della testimonianza quotidiana, semplice e spontanea, e quella della carità e anche del dono della vita, fino al martirio.
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