Perché l'Egitto vuole vietare il film Perfetti sconosciuti

Il remake del successo di Paolo Genovese è il primo girato in lingua araba per Netflix. Politici, attivisti e utenti social non hanno gradito gli alcolici, le relazioni extraconiugali e l'outing di uno dei protagonisti

Perché l'Egitto vuole vietare il film Perfetti sconosciuti

"Perfetti sconosciuti" è un film "immorale" che "lede i valori tradizionali della società egiziana". È questa la tesi surreale della polemica esplosa in Egitto in occasione della distribuzione da parte di Netflix del remake del successo del 2016 di Paolo Genovese.

"Dearest Friends", questo il titolo della pellicola riadattata e ambientata in Libano, è il primo girato in lingua araba su Netflix e si inserisce in un filone che negli anni ha appassionato produttori e registi di tutto il mondo, visto che il film di Genovese ha ispirato almeno una ventina di remake (un record).

Ma ad alcuni esponenti della politica e della società egiziana l'idea non piace per nulla, poiché la sceneggiatura contempla la presenza di discussioni circa incontri di carattere sessuale e relazioni extraconiugali, oltre ovviamente a mostrare personaggi che bevono alcolici.

Del resto, l'ambientazione centrale del film è una cena in casa tra coppie di amici, che si concedono un calice di vino mentre decidono di fare una sorta di gioco di ruolo in cui ognuno poggia il cellulare sul tavolo, condividendo con gli altri il contenuto di eventuali nuovi messaggi o chiamate. Un'idea, quella di Genovese, che oltre ad inviare un messaggio potente circa la dipendenza da social network e smartphone dell'uomo contemporaneo, si intreccia ovviamente con la vita sentimentale. Così, durante il film saltano fuori intrighi, tradimenti, equivoci, crisi emotive capaci di mettere a dura prova la stabilità dei rapporti di coppia.

Agli egiziani più ortodossi la cosa non è piaciuta per nulla e il deputato nonché giornalista televisivo Mustafa Bakry ha portato il suo disappunto in Parlamento esortando le autorità del paese ad interrompere la cooperazione con Netflix per via della diffusione di qualche film di troppo che "prende di mira i valori e le tradizioni della società egiziana e araba". E un avvocato egiziano, Ayman Mahfouz, ha intentato una causa contro i registi accusanti di "promozione dell'omosessualità". Già, perché tra i protagonisti della pellicola c'è un personaggio che, restìo a voler confessare la sua omosessualità, simula di avere una nuova fidanzata (in realtà un uomo) per timore del giudizio degli amici. L'avvocato Mahfouz ha inviato per questo un monito legale al ministero della Cultura per impedire la proiezione del film in Egitto. Il capo dell'Autorità di Censura per le Opere Artistiche, però, ha ribattuto che il paese non può vietare il film perché è una produzione libanese. Non perché le rimostranze siano assurde a prescindere, insomma.

Sebbene attori e critici cinematografici egiziani abbiano espresso il loro sostegno alla proiezione del film, una delle star femminili, Mona Zaki, è finita al centro di una shitstorm pesantissima sui social per via di una scena in cui si sfila la biancheria intima. Gli hashtag arabi con i nomi dell'attrice e del film sono diventati trend topic in Egitto ricevendo quasi 20mila commenti. Non lusinghieri. Molti utenti l'hanno accusata di "violare i valori e l'etica della società egiziana", altri di "immoralità" nella sua condotta professionale.

Un clima tutt'altro che sano, in una realtà, quella egiziana, già nota negli ultimi anni per le sistematiche e progressive compressioni delle libertà individuali, che viola la tutela dei diritti umani, reprime il dissenso, perseguita i giornalisti e utilizza spesso capi d'imputazione come la "violazione della morale”, “l’utilizzo

improprio dei social network” (nel caso delle influencer beccate per il modo in cui vestivano, agivano e guadagnavano denaro su applicazioni come TikTok), "indecenza" (utilizzata invece per perseguire le relazioni omosessuali).

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