Proposta bluff di Renzi: "Cambiamo l'Italicum ma dopo il referendum"

Il premier prova a evitare l'implosione aprendo sulle modifiche alla legge elettorale

Proposta bluff di Renzi: "Cambiamo l'Italicum ma dopo il referendum"

Roma - Matteo Renzi vuole evitare un'implosione del suo partito alla vigilia del referendum. E dunque, pur pensando che l'operazione di Bersani e compagni sia «puramente strumentale, perché l'unica cosa che interessa a loro è provare a farmi fuori», il premier prova a sfilare alla minoranza Pd quello che definisce «l'alibi» per votare No al referendum costituzionale.

Pier Luigi Bersani (che come al solito, dopo aver rilasciato veementi interviste alla vigilia, alla direzione Pd fa scena muta) e gli altri della fronda interna, avendo votato per ben tre volte la riforma Boschi, non possono dire di non condividerla, e quindi teorizzano che è il «combinato disposto» tra fine del bicameralismo e legge elettorale a motivare la loro improvvisa contrarierà. E dunque, nella direzione Pd annunciata come «resa dei conti», il premier fa la mossa del cavallo e, aprendo i lavori, lancia l'amo: «Il Pd è pronto a fare una discussione seria sull'Italicum», annuncia. Renzi difende la sua legge elettorale: «Non penso affatto che l'Italicum sia un errore: è un sistema che funziona, e il ballottaggio - ricorda agli smemorati della minoranza - è una delle conquiste che il centrosinistra chiedeva da anni», visto che si è sempre battuto per il doppio turno. Ma «se si vuole trovare un compromesso, ognuno deve rinunciare a qualcosa, perché il contrario del compromesso è il fanatismo». Ovviamente, spiega, una eventuale modifica dell'Italicum non può essere fatta in campagna referendaria, ma «non c'è dubbio che possiamo iscrivere all'ordine del giorno della commissione la discussione nel merito fin dalle settimane successive al referendum». La delegazione per la discussione, dice, sarà composta dal vicesegretario Guerini, dai due capigruppo Zanda e Rosato, dal presidente Orfini e da un'esponente della minoranza «che scegliete voi, perché io non mi permetto di mettere bocca». L'importante è «togliere questo alibi dal tavolo».

Una mossa che, per quanto venga considerata un «bluff» dai suoi avversari interni, finisce per mettere in difficoltà la minoranza Pd. Tant'è che il silente Bersani, che il giorno prima aveva tuonato che si può solo votare No, rimane isolato: prima Gianni Cuperlo e poi anche Roberto Speranza sono costretti a dire, con mille distinguo e circonvoluzioni, che bisogna andare a vedere le carte del segretario, prima di decidere sul referendum. E se poi decidesse di votare No in mancanza di compromessi sull'Italicum, annuncia Cuperlo, «mi dimetterò da deputato». E la bersaniana Enza Bruno Bossio si appella ai colleghi della sinistra Pd: «Non possiamo fermare le riforme necessarie al Paese».

Renzi sa che sta solo guadagnando tempo, e che la rottura è probabilmente solo rimandata. Ma è soddisfatto del risultato ottenuto: «La verità è che la minoranza Pd non sa che dire, prima hanno detto sì alle riforme, poi no. E oggi, nonostante le roboanti interviste dei giorni scorsi non dicono niente», commenta con i suoi. Ma in Direzione il segretario Pd fa buon viso a cattivo gioco, e lascia ad altri dirigenti, da Roberto Giachetti a Piero Fassino, di dire quel che anche lui pensa. Il primo, Giachetti, bastona le mille incoerenze della minoranza Pd descrivendo come Bersani e compagni dicessero mesi fa l'esatto contrario di quel che dicono oggi su legge elettorale e riforma costituzionale. Fassino spiega a Bersani e compagnia che tutte le modifiche che loro propongono all'Italicum, a cominciare dall'abolizione del ballottaggio, avrebbero un solo esito: «Il ritorno ai governi di larghe intese», per l'impossibilità di definire una maggioranza.

«Se si respinge questa riforma - sottolinea alla fine Renzi - farà prima a tornare la cometa di Halley che la politica italiana a raggiungere un nuovo accordo per superare il bicameralismo. Se perdiamo questa occasione non ce ne sarà un'altra. Ci saranno solo rimpianti e rimorsi».

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