La fine del lavoro salariato sembra la fine delle proteste che ci toccano da vicino. Ormai le piazze le riempiono gli attivisti per la Palestina. Se un tempo erano i proletari, o gli studenti che credevano di avere capito qualcosa del proletariato, a mobilitarsi, oggi cosa resta di quell'ultimo infallibile movimento della storia che avrebbe dovuto portarci oltre il capitalismo? Quasi nulla, tranne la memoria di quelle lotte nella testa dei più privilegiati. Ha vinto l'altra faccia del comunismo, il comunismo degli Isee alti degli studenti delle università d'élite americane. Il Washington Monthly prova a mappare gli accampamenti pro-Pal nelle accademie degli Stati Uniti e sembra che i movimenti abbiano fatto il nido soprattutto negli atenei per ricchissimi, con una selezione più stringente e poche borse di studio per poveri. In generale il 45% della comunità studentesca americana accetta le proteste per la Palestina, ma solo il 13% sembra ritenere la guerra in Medio Oriente un problema prioritario per loro. Credono siano più importanti l'assistenza sanitaria, i finanziamenti all'istruzione e le opportunità economiche. I discendenti politici dei critici della globalizzazione, non avendo nulla a cui pensare, sono diventati attivisti globalizzati e protestano ormai quasi esclusivamente per temi di portata planetaria: il clima, la guerra a Gaza.
Gli ultimi, invece, hanno famiglie da assistere, cari da mantenere, qualcosa che sembra suggerire loro di tenersi stretto il tempo libero. In un mondo senza salari la classe operaia non va in paradiso. Ma i figli di papà in campeggio sì.
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