New York. Mentre infuria la battaglia tra le strade di Minneapolis, in Minnesota, da tre giorni messa a ferro e fuoco dopo l'uccisione dell'afroamericano George Floyd da parte della polizia, scattano le manette ai polsi di Derek Chauvin, l'agente che, premendo sul collo dell'uomo, lo ha soffocato. È accusato di «omicidio di terzo grado», riferito ai casi di omicidio in cui si è verificata una «perversa indifferenza alla vita». Il massimo della pena è di 25 anni di carcere. La tensione nella città del Minnesota è altissima, tanto che ieri sono stati schierati 500 uomini della Guardia Nazionale per contrastare le proteste degenerate per la terza notte in violenze e saccheggi. Un incendio è esploso all'esterno del commissariato degli ex agenti coinvolti nella morte di Floyd e l'edificio, assediato dai manifestanti, è stato abbandonato. Secondo i media locali, i manifestanti sono riusciti ad entrare frantumando i vetri delle finestre, e hanno poi compiuto atti vandalici negli uffici e dato alle fiamme parte dell'edificio, che è stato evacuato per sicurezza, dopo che gli agenti hanno esploso alcuni proiettili di gomma contro i dimostranti. Un corteo ha marciato verso il centro chiedendo giustizia e scandendo slogan contro la polizia, e non distante dal luogo in cui Floyd è stato soffocato, un gruppo di facinorosi ha tentato di assaltare un centro commerciale, ma è stato respinto dai gas lacrimogeni della polizia. Altri atti vandalici sono stati commessi in diversi edifici della zona, dove sono stati appiccati degli incendi.
Il sindaco di Minneapolis, Jacob Frey, ha annunciato un coprifuoco in tutta la città a partire da ieri sera e per tutto il weekend. La decisione è stata presa per evitare «ulteriori disordini». Il presidente Usa Donald Trump, ha comunicato di aver parlato con la famiglia di George Floyd. Anche la first lady Melania Trump è intervenuta sulla vicenda, affermando su Twitter che «non c'è ragione per la violenza». «Il nostro Paese permette le proteste pacifiche - ha proseguito -. Ho visto i nostri cittadini unirsi e prendersi cura l'uno dell'altro durante il coronavirus, non possiamo fermarci ora».
Le proteste, nel frattempo, si sono diffuse ai quattro angoli dell'America, da Oakland, in California, a Denver, in Colorado, dove è scattato il lockdown dell'assemblea statale dopo che alcuni colpi di arma da fuoco sono stati sparati mentre era in corso una manifestazione. Bloccate anche alcune arterie stradali della città. Cortei e sit in pure a Chicago e San Francisco, mentre a New York almeno 72 persone sono state arrestate. A Manhattan alcuni agenti sono rimasti feriti dai lanci di sassi e bottiglie da parte dei manifestanti.
Intanto, va in scena un nuovo capitolo della guerra tra il presidente Trump e Twitter. Il social media ha censurato un tweet di Trump (rimasto però visibile) proprio sui fatti di Minneapolis, accusandolo di aver violato i suoi standard sull'esaltazione della violenza. «Non posso star qui a guardare quel che succede in una grande città americana, Minneapolis. Una totale mancanza di leadership. O il debolissimo sindaco di estrema sinistra Jacob Frey si dà una mossa, o manderò la Guardia nazionale per fare il lavoro che serve», ha scritto il tycoon. «Questi teppisti stanno disonorando la memoria di Floyd, e non lascerò che succeda. Quando partono i saccheggi si inizia a sparare», ha aggiunto. Quest'ultima è la frase controversa che ha spinto Twitter a censurare il cinguettio. Censurata anche la Casa Bianca, che aveva ritwittato il post del presidente, accusata di «istigare alla violenza». Eppure, proprio l'Fbi ha usato il social media per chiedere foto e video dell'aggressione di Minneapolis.
«Il presidente non ha istigato la violenza, ma l'ha chiaramente condannata», ha replicato Pennsylvania Avenue, accusando Twitter e il suo numero uno Jack Dorsey di «malafede». A rincarare la dose ci ha poi pensato lo stesso Trump: «Twitter non sta facendo nulla su tutte le menzogne e la propaganda fatte circolare dalla Cina o dalla sinistra radicale del partito democratico. Nel mirino ci sono i repubblicani, i conservatori e il presidente».
«La sezione 230 deve essere revocata dal Congresso, fino a quel momento, sarà regolamentata», ha poi scritto, riferendosi alla normativa che garantisce l'immunità legale ai social contro eventuali cause per i contenuti postati sulle loro piattaforme.
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