La Corea del Sud prova a chiudere 70 anni di conflitto, la Corea del Nord prima risponde picche, poi dice di accettare l'offerta ma pone condizioni che lasciano intendere quanto la strada sarà in salita prima che si arrivi a una pace formale condivisa tra le due parti. Nell'altalena della relazioni tra i due Paesi - il Sud alleato degli Stati Uniti e il Nord vicino alla Cina - a lanciare il primo sassolino nello stagno è stato il presidente sudcoreano Moon Jae-in. Sua è la proposta, avanzata a Pyongyang in settimana, di dichiarare la conclusione formale della Guerra di Corea che si combatté tra il 1950 e il 1953, quando le due parti della penisola si divisero in due distinti Paesi proprio in seguito al conflitto. Da allora un armistizio è stato siglato ma mai si è arrivati a un trattato di pace. Ed è questo invece l'epilogo al quale Moon Jae-in aspira, per normalizzazione le relazioni tra Nord e Sud ma soprattutto per chiudere in bellezza il suo mandato, dopo tensioni lunghe 70 anni e una guerra tecnicamente mai finita, nonostante il disgelo avviato con la stretta di mano tra i due leader nel 2018 lungo il 38esimo parallelo.
Quanto sia realistico arrivare a un'intesa non è ancora chiaro. La contraddizione dei segnali arrivati dal regime nord-coreano del dittatore Kim Jong-un desta qualche sospetto. La prima replica della Corea del Nord è stata perentoria, affidata al viceministro degli Esteri Ri Thae-song, che parla di mossa «prematura»: «Nulla potrà cambiare sino a quando le circostanze politiche rimarranno invariate. La politica ostile degli Stati Uniti non è mai mutata, nonostante la fine delle ostilità sia stata dichiarata centinaia di volte». E ancora: «In questo momento una dichiarazione di conclusione della guerra non è di alcun aiuto nella stabilizzazione della situazione della penisola e rischia di essere sfruttata come cortina fumogena per celare la politica ostile degli Usa».
Poco dopo, tuttavia, i toni sono cambiati e così anche gli interpreti. A pronunciarsi è stata la sorella del presidente Kim Jong-un, l'influente Kim Yo-jong, che si è mostrata più morbida e aperturista: l'idea è «interessante» e «lodevole». «Se il Sud si allontana dal passato, quando ci ha provocato e ci ha criticato a ogni passo con i suoi doppi standard, e ripristina la sincerità nelle sue parole e azioni, e abbandona la sua ostilità, saremmo disposti a riprendere una stretta comunicazione e impegnarci in discussioni costruttive sul ripristino e lo sviluppo delle relazioni», ha spiegato la potente sorella. Potrebbe trattarsi di un modo per dettare le proprie condizioni, con Pyongyang che sembra voler approfittare della proposta per giocare un ruolo ai danni degli Stati Uniti nella grande partita globale.
Il botta e risposta avviene mentre è altissima la tensione tra Washington e Pechino nell'area dell'Indo-Pacifico, tanto che gli Usa hanno appena concluso il patto per la sicurezza Aukus, con Gran Bretagna e Australia, per fornire sottomarini nucleari a Canberra in funzione anti-Cina. La sola certezza è che appena una settimana fa, a distanza di poche ore l'una dall'altra, le due Coree hanno testato missili balistici nelle acque del Mar del Giappone. Non proprio un segnale di pacificazione.
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