Lo psicodramma dem dopo i fischi ai funerali

La sinistra allo sbando ora fa autocritica

Lo psicodramma dem dopo i fischi ai funerali

Roma - A cinque mesi dal fatidico giorno del voto, i fischi di Genova svegliano il Pd dal suo torpore post-elettorale.

La prima linea di difesa è stata quella della claque: «I fischi? Erano pilotati». Ma che si tratti di una linea fragile iniziano a dirlo in diversi: «Una claque organizzata? Beh, no: questo è il sentimento popolare. In questa fase storica siamo percepiti come responsabili di tutto», dice fuori dai denti Stefano Esposito. E può anche essere vero, come denuncia Matteo Orfini, che chi ha governato fino a marzo sia ora oggetto di una campagna di «menzogne» da parte di chi «alimenta un clima di violenza inaccettabile, rilanciando accuse false che diventano virali», sui soldi dei Benetton ai Dem o su presunti favori ai poteri forti. Ma «piangersi addosso è inutile», incalza Esposito. Bisogna prendere atto che «c'è una parte consistente del paese che vuole sentirsi dire le cose che dicono Salvini o Di Maio. E a loro non interessa che siano giuste o no». E da lì «attrezzarsi per combattere». Riconoscendo anche i propri errori: l'ex sindaco Pd di Genova, ad esempio, ricorda che il ritardo nella costruzione della Gronda dipende anche da chi, nel centrosinistra fece «la scelta politica di non scontrarsi con una parte di città contraria».

L'ex ministro Calenda denuncia la paralisi dell'opposizione: «Continuiamo ad opporci individualmente, senza costruire e coordinare un'azione politica ampia: è la più grave responsabilità del Pd, in questo momento». Mentre il partito «è ancora fermo a renziani contro antirenziani. In pubblico. In privato si accordano per vegetare». Gli obietta su Twitter un simpatizzante dem: «Renzi ha fatto cose buone e altre meno, ma i fatti dicono che deve lasciare, per il bene del centrosinistra. Tutti lo pensano ma nessuno lo dice?», Calenda replica con una punta di ironia: «Teoricamente l'avrebbe detto anche lui lasciando la segreteria. Teoricamente». Il loop in cui è bloccato il Pd è ben sintetizzato nello scambio: c'è una sorta di finta pax interna attorno al neo-segretario Martina, in attesa di un congresso mai fissato e che nessuno sembra voler davvero fare, anche per mancanza di candidati forti da contrapporre all'unico che si è messo in pista, ossia Nicola Zingaretti. E c'è un ex segretario e premier che, nonostante le dimissioni, non abbandona la prima linea. A mancare, per il momento, è la politica.

Così sui social raccoglie molti consensi il j'accuse di una dirigente renziana, Cristiana Alicata: «Se il Pd ha ricevuto fischi è perché ha governato e viene riconosciuto come potere. Sì anche la Lega ha governato, ma loro sono più bravi ad essere uno di noi». E conclude: «La sinistra ritrovi la sincerità: non ne ha più, per questo non è più credibile. Non sono loro che vincono, siamo noi che perdiamo». Intanto rompe il silenzio l'ex premier Paolo Gentiloni, invitando la politica a «non reagire alla tragedia dando spettacolo di divisione».

E aggiunge: «A tutti spetta il compito di unire le forze disponibili, mettendosi al lavoro per Genova. A dare il buon esempio dovrebbe essere il governo, che purtroppo invece contribuisce a un clima di rissosa confusione».

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