Il controllo giurisdizionale. È quel che è mancato in questi anni, segnando la lunga stagione giudiziaria cominciata con Mani pulite: «Il pm - spiega Gian Domenico Caiazza - nella fase delle indagini fa un po' quel che gli pare; il giudice dell'indagine preliminare e il giudice dell'udienza preliminare tendono a dargli sempre ragione». Il celebre avvocato, dal 2018 al 2023 presidente dell'Unione delle camere penali italiane, torna a parlare della separazione delle carriere, proseguendo il dibattito innescato dal Giornale con l'intervista a Valerio de Gioia. «Sento dire - ha spiegato ieri il magistrato - che un pm sganciato dal giudice perderebbe la cultura della giurisdizione, ma questo é falso. Semmai si osserva che qualche volta è il giudice ad essere appianato sulla figura del pm».
Avvocato Caiazza, secondo molti esperti l'assoluzione di Salvini venerdì scorso dimostra che non c'è bisogno di cambiare nulla perché il sistema così già funziona. Non è così?
«No, l'assoluzione, nel caso di Salvini come in tanti altri arriva dopo anni di dibattimento, magari dopo una richiesta di condanna o dopo l' arresto e la gogna mediatica. Non possiamo non essere inquieti davanti a un'assoluzione con formula piena, ma alla fine di un faticoso dibattimento, ancora di più se c'erano gli elementi per non andare a quel processo».
Il procedimento avrebbe dovuto finire in udienza preliminare?
«Leggeremo le motivazioni a suo tempo, ma un fatto è certo: il naufragio del nuovo codice di procedura penale, introdotto nel 1989, è dovuto proprio al fallimento del gip-gup.
Davvero dobbiamo parlare di fallimento?
«Certo, è mancato il controllo giurisdizionale del giudice sul pm».
Tradotto in soldoni?
«Il pm fa quello che gli pare. E il gip-gup lo asseconda quasi sempre. Sulle intercettazioni: il pm chiede e il gip quasi sempre le concede; stessa musica per il capitolo arresti e per la proroga delle indagini. Poi si arriva all'udienza preliminare, che dovrebbe essere un filtro, o se si preferisce uno sbarramento, e la barriera non c'è: c'è, come per Salvini, un rinvio a giudizio che poggiava su gambe esilissime, come si è capito dal verdetto che ha assolto il vicepremier con una formula tranchant: perché il fatto non sussiste».
Non sempre è così. Renzi è stato prosciolto qualche giorno fa proprio dal gup.
«È un'ottima notizia, ma il gup aveva alle spalle tre pronunce della Cassazione che avevano raso al suolo l'inchiesta. Sa che negli anni in cui ero ai vertici delle Camere penali ho chiesto al ministero i dati delle intercettazioni, di quelle accolte e di quelle respinte, e delle misure cautelari, seguendo sempre lo stesso criterio, ma i numeri non mi sono mai arrivati».
Quindi qual è secondo lei la soluzione al problema?
«Il punto infiammato è ordinamentale. L'unica medicina è la separazione delle carriere che sarebbe coerente con il codice Vassalli. Altrimenti il giudice continuerà ad allinearsi al pm e alle sue tesi».
Allora ha ragione de Gioia quando sostiene che la «contaminazione» funziona ma al contrario? Non è il pm che perderebbe la cultura della giurisdizione ma il giudice ad appiattirsi oggi sull'accusa?
«È quello che vediamo sul campo da troppo tempo.
Indagini lunghe e logoranti, cominciate fra gli squilli dei media. Il giudice spesso è un passacarte dei pm e il processo arriva sempre troppo tardi. Anche se magari si accompagna ad una doverosa assoluzione. Il vulnus ormai c'è e niente potrà cancellarlo».
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