
Come ha detto a Gedda il segretario di Stato americano Marco Rubio, la palla è ora nel campo della Russia. In realtà è lì da tre anni, nel senso che proseguire o concludere la guerra in Ucraina dipende unicamente da chi l'ha cominciata la Russia, appunto e che potrebbe in teoria fermarla in qualsiasi momento. Ma il punto è che Vladimir Putin non solo non ha la minima intenzione di rinunciare a ciò che si è fin qui preso con la forza, ma nemmeno di fermare le sue truppe in una fase di avanzata (negli ultimi giorni, tragicamente favorita dalla sospensione del sostegno d'intelligence Usa a Kiev). Putin si sente forte sul terreno e vuole andare avanti, ma deve tener conto della volontà di Donald Trump di portare a casa un risultato d'immagine personale cui tiene moltissimo.
Il Cremlino reagisce prendendo tempo alla richiesta americana di accettare una tregua di un mese già dai prossimi giorni. Il portavoce Dmitry Peskov dice che Putin è in attesa di essere informato dagli americani dei dettagli degli accordi presi in Arabia Saudita tra le delegazioni Usa e Ucraina. Preferiamo non aver fretta, ha detto Peskov, a chi gli spiegava che Trump ha parlato di una sua possibile telefonata a Putin già in settimana: «Non la escludiamo, se sarà necessario, ma non è arrivata alcuna richiesta».
Dal punto di vista russo, la questione della tregua di 30 giorni concordata tra americani e ucraini a Gedda è legata a tre fattori: i tempi, le condizioni e l'uso che se ne potrà fare. Riguardo ai tempi, è interesse di Putin rinviarla il più possibile per trarre vantaggio dalla contingenza: il dittatore di Mosca sta spingendo al massimo la pressione militare per riconquistare la porzione della provincia russa di Kursk che gli ucraini controllano dallo scorso agosto. Ieri ha anche visitato le truppe nella zona, invitandole a «liberare» l'oblast «al più presto e completamente». Secondo i comandi militari «finora è stato liberato l'86% del territorio occupato e 24 insediamenti negli ultimi cinque giorni». I 430 soldati ucraini catturati, per il capo di Stato maggiore, Valery Gerasimov, «saranno trattati come terroristi».
Putin vuole evitare di lasciare in mano a Zelensky quel «gettone di scambio territoriale» prezioso nei negoziati, ma anche - anzi - soprattutto, dal punto di vista di autocrate ossessionato dalla propria immagine storica risparmiarsi la vergogna di dover riconoscere l'occupazione di territori russi, per quanto piccoli. Quanto alle condizioni, fonti russe fanno intendere che Putin è scontento della ripresa del sostegno militare americano a Kiev. Cercherà di ottenere personalmente da Trump una marcia indietro totale o parziale, definendo questo «garanzie per la sicurezza della Russia».
Il terzo punto l'uso di un'ipotetica tregua di un mese è però il più importante. Bisogna aver chiaro che l'obiettivo di Putin non è una tregua e meno che meno la pace, ma la prosecuzione della guerra nei tempi e nei modi possibili fino alla vittoria. In questa fase, condizionata dagli obiettivi personali di Trump ma anche da intese non rese note tra i leader russo e americano, è prevedibile che Putin intenderebbe usare la tregua per far riposare e rafforzare le proprie armate in vista di una nuova offensiva.
Specularmente l'Ucraina, che non crede alla buona fede di Putin, vorrà prendere fiato, riarmarsi con l'aiuto della «coalizione dei volenterosi» e prepararsi a tenere le linee difensive: esattamente ciò che Putin non vuole. Aspettiamoci dunque una prolungata «melina» russa per ritardare la tregua.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.