"Putin sognava un trionfo ma le armi non bastano. La chiave? È psicologica"

L'ex generale Giorgio Cuzzelli: dall'Ucraina una lezione. Noi europei rifiutiamo la guerra, siamo l'eccezione

"Putin sognava un trionfo ma le armi non bastano. La chiave? È psicologica"

Bombe, massacri, trattative, sanzioni, minacce e propaganda. La guerra non sta solo devastando l'Ucraina, ma anche ridisegnando la politica mondiale. E lo fa in un'epoca in cui sembrava che la guerra "tradizionale", almeno in Europa, dovesse lasciare il passo ad altri tipi di armi e di teatri di scontro.

La guerra, invece, è tornata prepotentemente protagonista, con tutto quello che essa comporta e realizza. E per comprendere le dinamiche non solo di questo conflitto, ma degli attuali conflitti nel mondo, ne abbiamo parlato con Giorgio Cuzzelli, generale dell'Esercito in congedo e oggi docente alle università L'Orientale, Lumsa e Unint. Nel corso della carriera ha comandato unità ad ogni livello, nazionali e multinazionali, ed è stato impiegato in operazioni nei Balcani e in Afghanistan. Insieme a Matteo Bressan, è autore e curatore del libro Da Clausewitz a Putin: la guerra nel XXI secolo.

Generale, Carl von Clausewitz (tra i più grandi teorici militari della Storia ndr) parlava di una triade che caratterizza la guerra "tradizionale". Questi elementi sono presenti ancora oggi? Li rivede anche nei più recenti conflitti?

Secondo Clausewitz, qualunque guerra viene combattuta da tre componenti tra loro interdipendenti, ovvero il popolo, lo strumento militare e il potere politico, che contribuiscono al conflitto con capacità diverse. L'interdipendenza di queste tre forze in realtà è un prodotto. Se uno solo dei fattori è zero, il risultato è zero e la guerra la si perde. È la logica dei grandi conflitti del '900, degli scontri della Guerra Fredda, delle insurrezioni del dopo Guerra Fredda e anche dell’attuale contesa in Ucraina. Da entrambe le parti vediamo in azione queste potenti forze. E nessuna di esse appare pronta a cedere, checché se ne dica. In questo senso, la guerra contemporanea - come qualunque guerra, peraltro - è più che mai scontro di volontà contrapposte, ed è tuttora da stabilire chi prevarrà.

Quella in Ucraina che guerra è?

L'attuale conflitto in Ucraina è una guerra moderna nella quale sono coinvolte praticamente tutte le dimensioni dei conflitti contemporanei, dalle operazioni convenzionali alla guerra cibernetica allo scontro economico, senza dimenticare la dimensione psicologica - la narrazione - che si sta rivelando fondamentale da parte ucraina per supplire all’inferiorità materiale della nazione.

Vladimir Putin parla di "operazione militare speciale": semplice narrazione o una precisa definizione anche strategica?

Il concetto di "operazione militare speciale" nasce a mio avviso da molteplici considerazioni di ordine politico, interno e internazionale. Una guerra ha una precisa connotazione giuridica. Chiamarla come tale significa violare apertamente la carta dell'Onu. Non a caso Putin evoca l'autodifesa quale giustificazione delle sue azioni. Tuttavia, sono sempre più convinto che i russi non avessero assolutamente in mente ciò che sta accadendo, ma piuttosto una cavalcata tra due ali di folla plaudente stile Vienna 1938, previa decapitazione del governo Zelensky. Doveva cioè essere un ricongiungimento tra fratelli separati, non un massacro. Una serie di apparenti errori di valutazione - e, probabilmente, di pianificazione e di preparazione dello strumento militare - ha condotto a esiti assolutamente imprevisti.

Molti sostengono che Putin non sia uno stratega, ma un tattico. Qualcuno parla di follia, irrazionalità... Dopo un mese di conflitto, lei che idea si è fatto?

Putin è un attore assolutamente razionale, e assolutamente razionale è la politica perseguita allo stato dalla Federazione Russa. Il fatto che noi europei rifiutiamo la guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi - e questo per una serie di ottime ragioni - non significa che in altre parti del mondo la guerra non sia considerata utile o legittima per perseguire i propri interessi. Ha poco senso quindi strapparsi i capelli. Venendo alla Russia, siamo in presenza evidentemente di un sistema valoriale diverso, non basato sui diritti individuali e su regole condivise come il nostro, ma sugli interessi presunti di una collettività nazionale e sulle logiche di potenza che li governano, cioè la forza e la prevaricazione. Sistema che peraltro ha retto il mondo almeno negli ultimi diecimila anni, e continua a farlo in tutti i continenti. Siamo noi l'eccezione, purtroppo, non Putin.

Nel libro, si parla di rivoluzioni (o non rivoluzioni) nella guerra. Eravamo abituati all'idea di guerre ibride, di campi di battaglia quasi sfuggenti, almeno tra grandi potenze, e invece ci troviamo i carri armati e i missili alle porte dell'Europa. Significa che la guerra (e l'uomo) non cambiano mai?

Con la fine della Guerra Fredda si è andata consolidando in Occidente l'opinione che le guerre le possano vincere le armi da sole, relegando gli umani a un ruolo secondario. Ciò in ragione di progressi straordinari della tecnologia. Nondimeno, occorre essere molto cauti. Da un lato, l'utilizzo di materiali o di tecniche di impiego più sofisticate non cambia i parametri fondamentali della manovra nei confronti dell'avversario, ovvero la combinazione di massa, velocità e sorpresa per colpirlo. In sostanza potrò colpire più duro, più veloce, più lontano, più tempestivamente, ma sempre queste tre cose dovrò combinare per vincere. In secondo luogo, ritenere che il progresso dell'umanità - qualunque progresso, si badi bene - sia il risultato di una rivoluzione non è del tutto corretto. Evoluzione, semmai, ma non rivoluzione. Il cambiamento affonda infatti le sue radici in una concatenazione di passaggi successivi, tutti necessari, che possono durare secoli. La caravella di Colombo è il frutto di un'evoluzione della tecnica navale iniziata almeno tre secoli prima. La Rivoluzione Francese affonda le sue radici da un lato nelle idee liberali del '600 e dall’altro nelle guerre e nelle carestie della prima metà del Settecento. Da ultimo, la guerra non la fanno le armi, ma gli uomini. Le armi migliori del mondo non servono a nulla se il soldato che deve usarle le getta nel fosso. Mi pare che la guerra in Ucraina in questo senso ci sia di esempio.

Che lezioni possiamo trarre a livello strategico da questo conflitto?

Sotto il profilo politico e delle relazioni internazionali, come ho già accennato, siamo in presenza di uno scontro tra due sistemi valoriali diversi. È inutile tornarci sopra. Sotto il profilo militare, assistiamo al ritorno in auge delle operazioni convenzionali, che molti cosiddetti esperti avevano dato per spacciate, evocando nuove guerre, quarte generazioni e cose del genere. In realtà la guerra non ha mai cambiato faccia. Semmai si combatte su piani diversi, dal convenzionale all'irregolare all’economico al cibernetico.

Sono le circostanze e la natura degli attori a determinarne la natura. In buona sostanza, nel caso dell'Ucraina abbiamo due contendenti entrambi con mentalità ex-sovietica, checché se ne dica, e come tali si affrontano. Badano al sodo, e se le danno di santa ragione.

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