Quando il Pd invocava "resistenza civile" contro il ddl taglia-poltrone

Oggi il partito di Zingaretti è in prima linea per la riduzione del numero dei parlamentari ma a febbraio, al primo voto in Senato, si oppose insieme a Leu accusando i 5 Stelle di "tagliare la democrazia" e invocando "resistenza civile"

Quando il Pd invocava "resistenza civile" contro il ddl taglia-poltrone

A Luigi Di Maio, è bastata una pausa di riflessione lunga un mese per cambiare partner politico. Al Pd, invece, sono serviti otto mesi per cambiare posizione sulla riforma costituzionale voluta dal Movimento 5 Stelle e concordata con i dem: il ddl taglia-poltrone, arrivato lunedì alla Camera e destinato a una rapida - e larga - approvazione. Nelle ultime ore, infatti, anche Forza Italia ha annunciato il suo voto a favore, chiedendo ai pentastellati di "abbandonare la mitomania della democrazia diretta". Ai 5 Stelle, però, va riconosciuta la coerenza sulla legge per la riduzione del numero di parlamentari, già presentata una prima volta al Senato lo scorso febbraio quando Di Maio e soci stavano ancora con la Lega. In quella occasione, Palazzo Madama votò compatto per il "sì". A favore del ddl taglia-poltrone c'erano 5S, Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia. Non Pd e Leu, che invece si opposero al ddl.

54 "no" e 4 astenuti, per un totale di 58 onorevoli. Tutti di sinistra. Una bella giravolta, non c'è che dire. Anche perché, in quell'occasione, i senatori dem usarono toni durissimi. In particolare l'onorevole Simona Malpezzi, che su Twitter aveva scritto: "Volevano aprire il #parlamento come una scatoletta di tonno invece lo stanno chiudendo per buttare via le chiavi e con esse la nostra #democrazia. Altro che #tagliapoltrone: al #senato oggi hanno incominciato a tagliare la libertà dei cittadini. #vergogna". Concludendo il post con un hashtag eloquente: #resistenzacivile. Ancora più feroce il commento di Debora Serracchiani: "Il vero obiettivo del Movimento 5 stelle è il taglio della democrazia. Si vuole uccidere la democrazia rappresentativa". Prima del voto, il gruppo dem in Senato aveva pue valutato di fare ricorso alla Consulta dopo che i propri emendamenti al ddl erano stati giudicati inammissibili. Il Pd, infatti, chiedeva di legare il taglio dei parlamentari alla trasformazione del Senato in una Camera delle Autonomie. Proposta giudicata inammissibile dalla presidente Casellati, da cui il "no" del Pd, seguito da quello di Leu.

Ovviamente, il primo a rispondere alle accuse del Pd di voler "tagliare la democrazia" fu chi oggi è alleato con i dem: Di Maio. "Il Pd ha votato contro, dopo che per tre anni quel signore che non è neppure il caso di nominare - Renzi, ndr - ci ha trascinato in quella riforma", diceva Di Maio, "dimostrando così che non gliene fregava niente di tagliare i costi della politica.

Gli fregava solo una cosa: di costruirsi un modello di Stato su misura in cui lui - aggiungeva il leader dei 5 Stelle - poteva fare l’imperatore senza neanche andare a votare perché non aboliva il Senato ma aboliva il voto per i senatori, aboliva la possibilità di eleggere i nostro senatori". Di Maio è stato poco coerente. Il Pd per nulla.

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