Le continue violazioni da parte di Pechino sulla libertà di stampa, di espressione e di libera circolazione dei cittadini stanno diventando sempre più invasive. Proprio ieri il tribunale di Shanghai ha condannato a quattro anni di carcere Zhang Zhan, l'avvocato e giornalista che per prima si era occupata di fornire una copertura in diretta da Wuhan sulla crisi del Covid-19. La sentenza dei giudici è arrivata dopo una manciata di minuti di camera di consiglio. La 37enne è stata dichiarata colpevole di aver "creato disordini e divulgato false informazioni". Arrestata in maggio per aver raccontato l'emergenza dall'epicentro della pandemia, la reporter ha assistito al processo su una sedia a rotelle. Secondo il suo avvocato Ren Quanniu, le precarie condizioni di salute sono il risultato delle torture subite in carcere. Zhan ha respinto fin dall'inizio ogni accusa e in settembre ha iniziato uno sciopero della fame. Il suo legale ha denunciato che viene alimentata con la forza per mezzo di un sondino gastrico. Per evitare che si strappi i tubi per l'alimentazione, la giornalista ha raccontato di essere stata incatenata e legata al letto anche 24 ore al giorno. Se il suo caso è tornato alla ribalta per via della sentenza-farsa, altrettanto non si può dire per altri tre colleghi, Chen Qiushi, Fang Bin e Li Zehua, detenuti dalle autorità all'inizio dell'anno per aver documentato gli eventi di Wuhan. In particolar modo Fang Bin è stato il blogger che ha realizzato i video che hanno iniziato a fare il giro della rete a partire da metà gennaio. Filmati in cui si vedevano ospedali in tilt per i ricoveri, persone che cadevano a terra per strada in preda alla febbre alta, e uomini dell'esercito che rastrellavano le strade di Wuhan per condurre sui pullman più cittadini possibili e sottoporli a visite mediche e tamponi forzati. L'arresto dei quattro giornalisti è maturato a poche settimane dall'arrivo in Cina del team internazionale di esperti dell'Oms per indagare sulle origini del Covid-19. Zhang lo scorso febbraio aveva scritto sul proprio profilo twitter (poi oscurato) che il governo "non ha fornito alla gente informazioni sufficienti, ha trasformato la città in una zona militarizzata. Questa è una grande violazione dei diritti umani".
Diritti che la Cina sta calpestando anche nei confronti di 12 cittadini di Hong Kong (processati e in attesa di sentenza), arrestati lo scorso 23 agosto nelle acque cinesi mentre cercavano di raggiungere Taiwan in motoscafo. Il capo di imputazione è ingresso e superamento illegale dei confini. Almeno due persone del gruppo, uno dei quali di soli 16 anni, rischiano la pena fino a 7 anni di carcere per aver organizzato il tentativo di fuga dalla città teatro nel 2019 di violenti proteste pro democrazia e dal 30 giugno scorso sequestrata dalla legge sulla sicurezza imposta da Pechino. Sulla questione è intervenuto ieri l'ambasciatore americano a Pechino Terry Branstad, chiedendo alle autorità cinesi il loro rilascio immediato. "Si può definire un crimine il tentativo di fuggire dalla tirannia? - si domanda Branstad - La Cina comunista non si fermerà davanti a nulla pur di impedire al suo popolo di cercare la libertà altrove. Il processo è una farsa".
Il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian ha invitato Washington a "smettere di usare la questione di Hong Kong per interferire con i nostri affari interni". Ancora più dura la reazione del ministro degli esteri Wang Yi: "Agli amici siamo soliti offrire vino, per i nemici esiste solo il carcere".
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