Quei crudi numeri che sgonfiano la propaganda

Quei crudi numeri che sgonfiano la propaganda

Quando si va in recessione, l'Italia supera largamente la media europea. Quando si cresce, invece, fatica a stare alla metà degli altri. Così la distanza e lo svantaggio aumentano. I numeri di questa realtà non si piegano alle chiacchiere, mentre usarli per far propaganda, in un verso o nell'altro, è da sciocchi. Indicano cosa fare. All'inizio del giugno scorso la Bce ha rivisto, al rialzo, le stime di crescita dell'area dell'euro, per il 2016: +1,7% (era +1,4 tre mesi prima). Subito dopo la Banca d'Italia rivide la stessa stima, per il nostro Paese, ma al ribasso: 1,1% (era 1,5 anche se il governo parlava di 1,6). La settimana scorsa la nostra banca centrale ha frenato ancora: staremo sotto l'1%. Se va bene, quindi, poco più della metà della stima su cui erano basati i conti pubblici. Nonché la metà, o poco più, di quel che cresce l'area che ha in tasca la nostra stessa moneta. Difficile, quindi, che sia quello il motivo. All'opposto: questi numeri incorporano la spinta monetaria della Bce, a suo tempo valutata in circa mezzo punto per anno. Significa che, di nostro, cresciamo meno di mezzo punto. Alla faccia del tanto sbandierato «segno più». Sono arrivate anche le previsioni del Fondo monetario internazionale, che confermano quanto appena osservato. Aggiungono un confronto più ampio: le economie avanzate crescono (sempre nel 2016) dell'1,8%; l'area dell'euro dell'1,6; il Regno Unito dell'1,7; gli Usa del 2,2; il Giappone dello 0,3. La differenza è minima rispetto alle economie avanzate e più significativa con gli americani, ma a causa delle loro politiche interne. Che il problema sia l'euro raccontatelo ai giapponesi, ma assicuratevi che non abbiano una katana a portata di mano. La moneta unica ha grosse falle strutturali, ma è da stolti non vedere che noi abbiamo problemi interni prevalenti. Perdiamo competitività da lustri e la discesa della nostra crescita data dagli anni '80 (del secolo scorso). Capita per ragioni italo-italiane. La sempre più scarsa preparazione dei nuovi lavoratori, che segnala scuola e università refrattarie alla meritocrazia, a cominciare dalle cattedre. Una giustizia la cui lentezza rende aleatorio il diritto e, ora ci si accorge, allunga terribilmente i tempi per il rientro dei crediti, creando uno svantaggio competitivo alle nostre banche. Un sistema nel quale troppi si sono abituati a non pagare o pagare con largo comodo, perché non puniti e perché addestrati dal peggiore pagatore sul mercato: lo Stato. Un fisco satanico, che punisce gli onesti per l'esistenza dei disonesti ed è spinto dalla spesa pubblica che continua a crescere, assieme a un debito pubblico patologico. Una burocrazia ostruzionista e deresponsabilizzata, che trasforma in ostacolo qualsiasi regola e traduce in inesauribile pipinara italiana le regole europee, facendone ulteriori lapidi sulla libera intrapresa. Non è più di moda, ma segnalo che da quasi un mese lo spread italiano è nuovamente sopra a quello spagnolo. Per ricordarci che torniamo dove eravamo.

A fronte di ciò possiamo raccontarci che è colpa di Brexit (che ancora deve cominciare) o delle cose turche, possiamo favoleggiare delle grandi riforme oramai giunte in porto, che se non le approviamo ci tagliano la gola. Ma le cose che si sarebbero dovute fare, da tanto tempo, restano da farsi. E i numeri, spietatamente, lo confermano.

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