Per comprendere appieno la partita europea e ciò che ne potrebbe venire all'Italia bisogna guardare i fatti in trasparenza, cioè osservare cosa si intravede sotto la tela ufficiale del voto dei partiti di governo italiani sulla von der Leyen: il sì di Forza Italia, il no non conclamato del partito della premier e il no ideologico iperpubblicizzato della Lega. Partendo dalle parole che il ministro degli Esteri Antonio Tajani, l'uomo di collegamento del Ppe con la Meloni, non si è mai stancato di ripetere nelle ore convulse che hanno preceduto l'elezione della von der Leyen: «Il nostro obiettivo principale è l'elezione di Ursula. Abbiamo un accordo con lei. Vedrete che Fratelli d'Italia darà qualche voto sottobanco».
L'interrogativo adesso è se l'accordo «personale» tra la numero uno del governo Ue e la nostra premier terrà oppure «no». Quello politico non è stato gestibile. A sentire la premier l'apertura dei Verdi lo ha reso impossibile, non fosse altro «per coerenza» (per gli uomini di Palazzo Chigi sarebbe stata una mezza fregatura) e, sempre nella logica del capo del governo, il «no» ad un piano che persegue le logiche del Green deal è stato anche un modo «per difendere gli interessi del nostro Paese» sul piano economico e sociale. Questo, però, secondo la Meloni non farà venire meno la collaborazione dell'Italia con la nuova Commissione, né tantomeno la penalizzerà sul ruolo che avrà dentro il governo Ue: «L'Italia è un grande paese fondatore, ci daranno quello che ci spetta». Ecco perché resta sul tavolo l'«accordo personale», l'intesa «non detta», che per sua natura non può essere rivendicata. Per ricorrere al vocabolario della tattica politica: il gioco di sponda. L'ipotesi più probabile già all'indomani del voto europeo e che prevedeva l'arrivo di una manciata di voti di Fratelli d'Italia nel segreto dell'urna ad Ursula. Di questo segnale politico di buon vicinato non c'è conferma - ma non potrebbe essere altrimenti - dentro Fdi. Viene, però, sussurrato nei partiti limitrofi della galassia Ppe. Il capogruppo dei forzisti, Fulvio Martuscello, lo dice apertamente: «I voti per neutralizzare i franchi tiratori non sono venuti dai verdi ma dai conservatori». Pierferdinando Casini che ha frequentato il Ppe da quando aveva i calzoni corti offre una lettura tutta democristiana del puzzle europeo: «C'è chi ha detto che avrebbe votato Ursula e non l'ha votata e chi dice di non averla votata che l'ha votata: la tipica commedia degli equivoci». E infine c'è il dc finito in Fratelli d'Italia, Gianfranco Rotondi, grande esperto di voto segreto, che sintetizza: «Non potendo fare l'accordo politico, Giorgia ha optato per l'accordo personale». Insomma, siamo più al «romanzo giallo» che non all'operazione politica. E proprio come avviene nei gialli di qualità bisogna tentare di capire il movente, nel caso attendere di vedere quali ruoli avrà l'Italia nella Commissione. «Quella è un'altra partita - spiegava due giorni fa Raffaele Fitto, candidato in pectore del governo Italiano a Bruxelles - non c'entra niente l'elezione del presidente della Commissione. Un Paese importante come l'Italia nella Ue non può essere emarginato. Vedrete che ci daranno un commissario di peso». Tutto vero. Solo che più stai nei giochi della maggioranza di Bruxelles e più sei garantito. Il no di ieri di Fdl ad Ursula avrà forse pagato in termini di coerenza ma - sul piano dell'immagine - ha messo la presidente della Commissione Ue in braccio ai Verdi. Esattamente ciò che i conservatori europei avrebbero dovuto evitare. Al momento sembra complicato che l'Italia possa avere una vice-presidenza, più probabile un Commissario di primo piano.
In ballo c'è quello per il mercato interno, quello che si occupa della gestione del Pnrr, quello per il Mediterraneo. Tutto questo, però, passa per quell'intesa personale, il gioco di sponda tra Giorgia e Ursula. Sempreché ancora ci sia. È tutta qui la soluzione del giallo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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