È tutto vero? «Sì, è così nelle intenzioni. Che poi si realizzi è tutto da verificare». A parlare è uno dei grandi navigatori dell'intelligence italiana. E l'argomento, l'obiettivo che prende forma nelle consultazioni e nelle chiacchiere che animano la pausa agostana, è una riforma epocale della struttura dei nostri servizi segreti. Il piano di Giorgia Meloni e del suo braccio destro Alfredo Mantovano (tondo a destra) l'ex magistrato cui la premier ha affidato la rogna di governare i nostri 007, è tanto semplice quanto complicato: basta con i due servizi segreti, un po' complementari e un po' concorrenziali, e a quel punto via anche il Dis, la struttura che dovrebbe coordinarli e che raggiunge l'obiettivo solo in parte. Nella testa della premier e di Mantovano c'è un solo servizio segreto, che raggruppi le competenze dell'Aisi, ovvero la sicurezza interna, e le funzioni dell'Aise, le attività estere. Nel progetto, l'intera attività delle nostre «barbe finte» ricade sotto un unico direttore, alle dirette dipendenze della presidenza del Consiglio. Uno zar dell'intelligence che troverebbe concentrato nelle sue mani un potere quasi sterminato. Che è esattamente il motivo principale per cui dal 1977 è stato ritenuto più salutare dividere in due tronconi l'attività dei servizi di sicurezza.
Quale sia precisamente il ragionamento che sta dietro al progetto Meloni non è noto ufficialmente, d'altronde di una riforma dell'intelligence non c'era traccia nel programma di governo del centrodestra. Ma le faccende delle nostre agenzie di sicurezza sono da sempre all'attenzione della premier, da ben prima dell'arrivo a Palazzo Chigi. E, secondo quanto è dato capire, una volta arrivata al governo, a diretto contatto con la realtà della struttura, la Meloni si è dovuta rendere conto di quanto fra gli addetti ai lavori era oggetto da tempo di critiche e lamentele: così come è stata disegnata dall'ultima riforma, varata nel 2007 dal governo di Prodi (tondo a sinistra) anche in seguito alla vicenda del sequestro Abu Omar, la suddivisione di compiti tra Aisi e Aise è talmente vaga da risultare inapplicabile, e da generare continue sovrapposizioni, pasticci, gelosie. Gli accavallamenti tra l'attività delle due agenzie accadono peraltro sotto gli occhi dei servizi segreti alleati, che si trovano davanti a due interlocutori che spesso dicono cose diverse. Le conseguenze, in più di una occasione, hanno raggiunto e superato la soglia del ridicolo.
Questi episodi non sono trapelati all'esterno ma appena arrivato a Palazzo Chigi Mantovano ne è stato reso edotto. E la convinzione che ne ha tratto, in piena intesa con il capo del governo, è che sia inevitabile mettere mano all'intero organigramma della sicurezza nazionale.
Dalle consultazioni avviate in queste settimane con una serie di esperti, restate sotto traccia fin quando ieri non le ha rese note Il Foglio, è nata una convinzione: una semplice riscrittura della legge del 2007 non è sufficiente, le nuove frontiere della sicurezza hanno forme così fluide da non consentire una divisione formale dei ruoli. L'unica soluzione ragionevole è accentrare, portare tutto sotto una sola cabina di regia. L'ipotesi A, come si è detto, è quella di una unica agenzia, in nome della efficienza organizzativa.
Se però le preoccupazioni sulla concentrazione di potere e di informazioni in capo a una unica struttura dovessero prevalere, allora il piano B consentirebbe la sopravvivenza di Aisi e Aise ma sotto la regia rafforzata del Dis, il Dipartimento per le informazioni e la sicurezza che da struttura di coordinamento assumerebbe funzioni pienamente operative, con i due servizi alle sue dipendenze.
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