Quali manovre sotterranee stanno avvenendo intorno all'inchiesta della Procura di Milano su Daniela Santanchè e su Visibilia, la società fondata dal ministro del Turismo e da lei ceduta al momento di entrare al governo? Con quali obiettivi, nei mesi scorsi, qualcuno ha cercato di impadronirsi di carte segrete dell'indagine?
Sono queste le domande al centro del nuovo fascicolo aperto dalla stessa Procura milanese dopo un episodio dai contorni ancora oscuri ma decisamente inquietanti avvenuto nel luglio scorso, e trasformatosi strada facendo in una sorta di giallo politico-giudiziario. In sintesi, un avvocato milanese avrebbe cercato, falsificando la firma del ministro, di entrare in possesso delle carte che attestavano l'esistenza - in quel momento ancora non ufficiale - dell'indagine per falso in bilancio e concorso in bancarotta a carico della Santanchè. Il tentativo era stato condotto a totale insaputa della diretta interessata, ed è venuto alla luce quasi per caso. Ma da quel momento Marcello Viola, procuratore della Repubblica, la sua vice Laura Pedio e il pm Maria Gravina hanno deciso di vederci chiaro. Perchè dietro ci può essere di tutto: una operazione contro la Procura o contro la Santanchè o contro tutti e due, un tentativo di avvelenare le acque su una vicenda già al centro di roventi polemiche politiche, con le opposizioni intente a reclamare le dimissioni della titolare del Turismo e quest'ultima a protestare per le fughe di notizie a suo carico. Ad appesantire il clima arriva, il 5 agosto scorso, il suicidio per ora misterioso di Luca Ruffino, il manager che aveva rilevato il controllo di Visibilia.
Il nuovo giallo, quello che ha per protagonista l'avvocato milanese, prende forma all'inizio di luglio. Sono giorni convulsi. Il quotidiano Domani ha rilanciato con dovizia di nuovi particolari la notizia dell'inchiesta milanese sul crac Visibilia, la Santanchè risponde sia sui giornali che in Parlamento di non avere ricevuto alcun avviso di garanzia. Il ministro aggiunge di avere chiesto già in novembre alla Procura di Milano, in base all'articolo 335 del codice (che garantisce, salvo casi particolari, la trasparenza delle indagini) se risultava inquisita, e di avere ricevuto risposta negativa. Su questo dettaglio non irrilevante - sapeva o non sapeva, il ministro, di essere sotto inchiesta? - si apre una bagarre mediatica e politica. Ed è nel pieno della bagarre che arriva il fattaccio.
Sul tavolo della pm Gravina approda una nuova richiesta di accesso agli atti firmata dalla Santanchè. É una mossa che la pm segnala subito al procuratore Viola. Viola, vista la delicatezza della vicenda, si fa portare la richiesta. C'è la firma autografa del ministro, o così sembra. Ma il procuratore si insospettisce, si fa portare uno degli atti originali di Visibilia firmati sicuramente dalla Santanchè: la differenza salta agli occhi, inequivocabile, la firma sull'istanza è sicuramente apocrifa. A quel punto si passa a verificare l'indirizzo di posta elettronica da cui è partita l'istanza. É la mail di un avvocato milanese, membro di uno studio associato a pochi passi dal palazzo di Giustizia.
Sono ore delicate, in Procura. La sensazione, il timore che qualcosa di oscuro stia accadendo intorno all'indagine più delicata aperta in questo momento a Milano mette i pm all'erta. Esiste una sola ipotesi che sgonfierebbe il caso: che la firma sia stata scarabocchiata da qualcuno per fare in fretta, ma che il mandato sia davvero della Santanchè. Per verificarlo i pm hanno un solo modo: interrogare il ministro. Ma la sua apparizione in Procura scatenerebbe una ridda di notizie e di voci, alzando ulteriormente la tensione intorno al «caso Visibilia».
Così gli inquirenti decidono di interrogare il ministro a tarda sera, nel tribunale ormai deserto. É una sera della prima decade di luglio. La Santanchè si presenta senza avvocato, come persona informata sui fatti, senza sapere il tema dell'incontro. Quando le spiegano cosa è accaduto e le chiedono se aveva dato incarico al legale di presentare l'istanza, cade letteralmente dalle nuvole. La firma non è la sua, non conosce l'avvocato, non ha dato nessun incarico. Da quel momento per i pm la Santanchè diventa «persona offesa», vittima. E dare una soluzione al giallo diventa per la Procura un imperativo categorico.
Cosa voleva ottenere l'avvocato, e per conto di chi? Cosa lo ha spinto a infilarsi in un
pasticcio pericoloso sia penalmente che deontologicamente? E, dettaglio non irrilevante, come aveva fatto a ottenere una copia della carta di identità della Santanchè, quella vera, allegata alla richiesta? Si attendono sviluppi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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