Intercettazioni truccate, microspie accese o spente al momento più opportuno: adesso nel «caso Palamara» iniziano a venire a galla una serie di stranezze che costringono a rileggere sotto un'altra angolazione l'inchiesta della Procura di Perugia sugli intrallazzi all'interno del Consiglio superiore della magistratura. Stranezze che non scalfiscono la gravità dei comportamenti di Palamara ( nel tondo di sinistra) ma che fanno intuire come si sia evitato di indagare anche in altre direzioni, scavando davvero su un sistema che attraversava tutte le correnti presenti all'interno del Csm.
È lo stesso Palamara, ieri, a segnalare una delle omissioni meno spiegabili compiute nel corso delle intercettazioni da parte del Gico della Guardia di finanza. Beneficiario di questa omissione, uno dei magistrati più importanti che compaiono nell'inchiesta: Giuseppe Pignatone (nel tondo di destra), procuratore della Repubblica a Roma, l'uomo sulla cui successione si consuma la faida più violenta all'interno del Csm. Ma che, al momento in cui parte l'inchiesta contro Palamara, è ancora saldamente al suo posto: è lui a trasmettere il fascicolo a Perugia perché indaghi sul leader di Unicost.
Il problema è che di riferimenti allo stesso Pignatone nelle carte ce n'è più di uno. Per capire la natura reale dei rapporti tra Palamara e il suo capo (Palamara lavora come pm proprio in procura a Roma) il 9 maggio 2019 al Gico si offre una ghiotta opportunità: alle 16.02 Palamara viene intercettato mentre parlando con un amico gli anticipa che la sera stessa vedrà a cena il Procuratore, che è andato in pensione il giorno prima. In quel momento, sul telefono di Palamara è attivo il trojan che lo trasforma in una microspia ambulante, l'intera cena potrebbe venire registrata in diretta, e potrebbe essere un colloquio denso di spunti investigativi. Invece, senza alcuna spiegazione, il trojan viene disattivato. Una interruzione fortuita, o un atto di rispetto verso l'illustre interlocutore?
E non sarebbe l'unico. Riascoltando le registrazioni dei suoi colloqui con l'allora procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, Palamara ha rilevato un singolare errore di trascrizione da parte del Gico: che scrive «carabinieroni», quando invece i due parlano di «Pignatone». E il contesto è delicato, perché Palamara e Fuzio affrontano il tema dei conflitti di interesse del procuratore, che ha un fratello avvocato che difende un inquisito della sua Procura, e che segnala questa incompatibilità alla Procura generale solo nel maggio 2017, con mesi di ritardo.
Le due stranezze» del Gico aprono, in realtà, un fronte ancora più delicato: ovvero, chi ha diretto davvero le indagini sul «caso Palamara»? Formalmente, il fascicolo è della Procura di Perugia, competente sui reati commessi dai magistrati in servizio a Roma. Ma Perugia nei mesi dell'inchiesta è una procura debole, guidata da un capo prossimo alla pensione. Così a tenere il pallino dell'inchiesta è soprattutto la polizia giudiziaria, ovvero il Gico di Roma, un reparto speciale da sempre legato a filo doppio alla Procura della Capitale. Il sospetto di Palamara è che in questo modo la Procura di Pignatone abbia di fatto diretto le indagini che riguardavano, insieme al Csm, essa stessa.
La battaglia intorno al «caso Palamara» insomma è solo agli inizi.
E l'udienza disciplinare del prossimo 21 luglio in Csm a carico di Palamara si annuncia come la prima resa dei conti. Ma in Csm il marasma è tale che ancora non si sa chi saranno i «giudici» dell'ex presidente dell'Anm.
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