Sorpresa: ci sono magistrati che voteranno sì ai referendum sulla giustizia. Anzi, chiamano alla mobilitazione i colleghi per il 12 giugno.
Intervistati dal Foglio due di loro escono allo scoperto e fanno capire di non essere soli. «Io voterò e voterò sì. La riforma Cartabia è un pannicello caldo perché non tocca le correnti e sono loro a minacciare l'indipendenza dei magistrati, non la politica», dice il procuratore di Napoli Paolo Itri, membro dell'Anm in quota Magistratura indipendente fino al 2020. Con lui c'è il giudice sempre di Napoli Giuseppe Cioffi, che ha militato nell'associazione per Unicost: «Sposo le opinioni espresse da Carlo Nordio sulla necessità di sostenere i referendum. O si va a votare o bisogna smetterla di lamentarsi della malagiustizia».
Nordio, ex procuratore aggiunto a Venezia, è il presidente del Comitato referendario «Sì per la libertà Sì per la giustizia» e da settimane chiama a raccolta gli elettori in tutt'Italia perché si facciano sentire contro un sistema giustizia che dichiara «fallito».
Lui è in pensione ma per chi lavora in tribunali, corti e procure questa posizione è scomoda da sostenere, visto che riforma e referendum sono definiti dall'Anm forme di vendetta della politica contro le toghe. Ma se i due magistrati parlano è perché si fanno portavoce di altri insoddisfatti.
Accanto alle toghe in sciopero (meno della metà, si è visto) contro la riforma Cartabia, dunque, c'è chi crede nei 5 quesiti proposti da Lega e Radicali, che causerebbero scosse più forti al sistema giustizia. E c'è anche chi dice che non bastano né l'una né gli altri, che ci vuole molto di più. Uno è il sostituto pg di Milano Cuno Tarfusser, ex procuratore di Bolzano, già vicepresidente della Corte penale internazionale dell'Aia, che spiega al Giornale: «Riforma? Referendum? Io sarei più radicale, farei saltare il carro per sradicare la partitocrazia e cambiare dalle radici l'apparato giudiziario. Come la riforma, anche i referendum aggiungono una goccia nell'oceano ma il nocciolo del problema è ben più grosso e nessuno lo affronta. Sono critico su ambedue, ma per difetto».
Itri, invece, nei referendum ci crede. Gli sembra positivo lo sforzo per estendere la possibilità di candidarsi al Csm, anche se «non c'è da illudersi che possa ridurre lo straripante potere correntizio, servirebbe un approccio più coraggioso sul sistema elettorale: il sorteggio temperato». Dei 5 quesiti nutre qualche dubbio solo su quello per la custodia cautelare in carcere. «L'Italia non può permettersi alcuna forma di lassismo. La questione centrale è che il magistrato sia dotato di equilibrio e professionalità». Non è contrario, il pm, neppure ai test psicoattitudinali, che fecero scandalo quando ne parlò Silvio Berlusconi: «Dai magistrati dobbiamo pretendere professionalità». Favorevole alla separazione delle carriere, «anche se non è il primo dei nostri problemi». Itri dice di non temere il giudizio degli avvocati sulla professionalità delle toghe, anche se gli sembra «un rimedio poco efficace».
Cioffi andrà alle urne con convinzione il 12 giugno perché «è un'occasione per far sentire la propria voce» e si preoccupa della scarsa informazione. «Mi ritrovo inaspettatamente a condividere le posizioni di illustri magistrati come Bruti Liberati o Maddalena, in passato antagonisti associativi. Quando l'ex procuratore della Repubblica di Milano critica il processo mediatico o l'astensione dei magistrati contro la riforma Cartabia sono con lui». Sulla valutazione dei magistrati «i meccanismi di controllo esistono già, ma non possiamo pretendere di restare immutabili». Quanto al carcere preventivo ammette «esagerazioni ed esasperazioni, con significati e funzioni che non dovrebbe avere, anche per la durata eccessiva dei processi. E ciò è inammissibile, perché la libertà individuale è un bene supremo».
Sull'incandidabilità dei condannati in primo grado, dice che «la norma è stata dettata dall'urgenza di assecondare un'istanza punitiva proveniente da una parte della società e della politica. Anche qui l'eccessiva durata dei processi incide negativamente, se un politico fosse giudicato in pochi mesi, non servirebbero automatismi normativi».
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