Maledette «voci». Il demonio che ti «ordina di uccidere». Le hanno sentite tutti, le «voci demoniache» (vere o presunte): il baby killer di Chiara Gualzetti; il carnefice dei due fratellini e del pensionato di Ardea; il sicario della barista Elisa Campeol. Alibi in vista di un possibile riconoscimento dell'infermità mentale, o vere psicosi?
La psicoterapeuta Vera Slepoj, sul caso della 16enne uccisa da un coetaneo nel bolognese, ha opinioni controcorrente.
Come valuta questo delitto?
«Bisogna smetterla di pensare alla mente solo come a un motore di sana creatività. La psiche è fatta anche di buchi neri».
«Buchi neri» che risucchiano vittime sempre più giovani.
«Il tema riguarda tutti. A prescindere dall'età. Ma i giovani hanno meno strumenti di difesa».
Il dramma della povera Chiara ha seguito questo schema?
«Quanto è accaduto è lo specchio di una società non attrezzata per riconoscere quei segnali di pericolo che vengono sempre lanciati, tanto dalla vittima quanto dal carnefice».
Chi non «riconosce i segnali»?
«Le famiglie. Poi le strutture di assistenza che nel nostro Paese sono sempre state inadeguate».
Il 16enne che ha confessato era in cura da uno psicologo.
«Ciò rende ancora più grave la situazione. In questa condizione i meccanismi di sorveglianza e tutela sarebbero dovuti essere ancora più rigorosi. Invece il ragazzo è stato libero di uccidere una sua coetanea».
La versione fornita dal 16enne sulla dinamica dell'omicidio appare confusa e contraddittoria.
«Non mi sorprende. Questo giovane è chiaramente nel vortice patologico di una alterazione della realtà. Lo era prima del delitto e lo è ancora di più ora, dopo una situazione di stress psichico estremo che nessuno forma di tutela sociale sul territorio è riuscita ad arginare».
Lui ha dichiarato di «sentire delle voci» e che queste «voci» gli hanno ordinato di ammazzare l'amica. È un alibi o c'è qualcosa di vero?
«Il fatto che fosse in cura da uno psicologo, farebbe propendere per la seconda ipotesi. Nei soggetti schizofrenici e narcisistici le voci sono una costante: manifestano una realtà parallela».
In questa dimensione «altra» che ruolo ha il mondo di Internet?
«Enorme, soprattutto per i più giovani che ormai vivono in simbiosi con esso».
Ci spieghi meglio.
«È un fatto generazionale. Quando eravamo ragazzi noi, leggevano Diabolik. Ma poi finiva lì, mica ci armavamo di coltello e andavamo a uccidere la gente. Ora, invece, i giovani sono calati in un universo digitale molto più immersivo e condizionante dove la linea di confine tra finzione e realtà è spesso confuso».
Ma dare la colpa ai web non è troppo semplice?
«Nessuna criminalizzazione dei social. Ma va prevista una rete di protezione per aiutare chi sta precipitando nel vuoto della violenza. Se non lo faremo, quelle voci torneranno con il loro richiamo di morte».
La morte come un «gioco»?
«I giovani non possono essere lasciati soli. L'età di chi uccide o si toglie la vita si è abbassata. L'aggressività è un'emergenza».
La morte di Chiara rientra nella categoria dei femminicidi?
«Sì. È un femminicidio adolescenziale».
Una definizione terribile.
«Ma vera. Purtroppo».
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