«Il giustizialismo è diventata la religione civile di una sinistra che affida alla magistratura il compito di bonificare la società, surrogando tutte le altre narrazioni sul Mezzogiorno». Quando il giornalista e saggista Alessandro Barbano ha iniziato a scrivere L'Inganno per raccontare «usi e soprusi dei professionisti dell'Antimafia» forse non si aspettava che il suo libro per Marsilio diventasse rapidamente un sasso lanciato nel paludato mondo dell'informazione giudiziaria. Nel libro racconta come confische e sequestri, applicati come clave dai magistrati, colpiscano preventivamente imprenditori poi assolti e di come l'emergenzialismo sia diventato un altare sul quale sacrificare la libertà in nome di una lotta alla mafia.
Che poi non ha prodotto granché in termini di risultati, anzi... Troppi innocenti sono vittime di questo cortocircuito mediatico-giudiziario
«C'è stata una torsione autoritaria del diritto, con una giurisprudenza creativa che ha costretto la politica a codificare sentenze ideologiche. Così la ricchezza presuntamente ingiustificata viene sottratta per poi essere redistribuita attraverso un apparato parassitario».
Forse il problema della criminalità si dovrebbe combattere diversamente...
«Quanti soldi sono stati spesi per le burocrazie giudiziarie e quanti contro la dispersione scolastica?».
Ma la mafia si può sconfiggere o no?
«Chi dipinge la mafia come irredimibile vuole mantenere lo status quo. Tu mafioso, io giudice antimafia, la tua vita dipende dalla mia».
E invece?
«Bisognerebbe puntare sulla rieducazione carceraria. Ci sono storie di mafiosi che hanno cambiato vita, rischiando. Invece passa la vulgata opposta».
Ergastolo ostativo: giusto abolirlo?
«Non farlo sarebbe la negazione della volontà di voler sconfiggere la mafia. Mi fa strano che la sinistra liberale, che dovrebbe puntare al riscatto sociale, su questi temi sia un po' freddina...»
E gli intellettuali?
«Guardi, io ne ho ascoltati tantissimi, di diversa estrazione politica. Sa cosa dicono? Che è impensabile raccontare il Sud al di fuori del colonialismo giudiziario, delle maxi retate che poi portano a condanne definitive di un indagato su tre al massimo».
Manca una verità storica?
«Peggio. La verità giudiziaria si è fatta verità storica, con la rozzezza culturale del giustizialismo è diventata saggistica, attraverso rappresentazioni grottesche con cui magistrati e financo poliziotti vogliono riscrivere la Storia d'Italia, smontando e rimontando pezzi di verità».
Qualche esempio?
«Un pentito calabrese racconta che nel 1978, quando era un ragazzino di 15 anni, Silvio Berlusconi e Bettino Craxi andarono nei campi di ulivi dove
il padre conversava con alcuni 'ndranghetisti. Dice di aver riconosciuto il Cavaliere perché era quello delle tv. Io avevo 16 anni e non l'avrei mai riconosciuto. Eppure una Procura ha sdoganato questa rappresentazione».
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