Queste ragazze sono la libertà che si meritano

Parla Shahrazd parla, parla fino all'alba e racconta per altre cento notti e ancora una la tua rivoluzione bianca, sfidando ogni attimo la morte, a mani nude e con i capelli sciolti

Queste ragazze sono la libertà che si meritano

Parla Shahrazd parla, parla fino all'alba e racconta per altre cento notti e ancora una la tua rivoluzione bianca, sfidando ogni attimo la morte, a mani nude e con i capelli sciolti, contro le botte, contro i proiettili, contro il cappio, contro chi ti punisce nel nome di Dio. Parla perché le tue parole, i tuoi gesti, i tuoi occhi che non si abbassano stanno diventando un contagio, che scorre in ogni angolo di quella che un tempo si chiamava Persia e sveglia mariti, figli, padri e amanti che ora chiedono libertà. Racconta Shahrazd con ognuno dei tuoi nomi: Masha, Hadis, Nika, Ilmaz, Asra, Sarina, Shirin, Nasrin, Fahimeh e tanti, tanti altri, che si ripetono giorno dopo giorno. Nessuno può dire ancora se ti salverai, perché il potere degli ayatollah è forte e nessuno può aiutarti. Qualcosa però sta accadendo e sembra impossibile e nulla può essere dato per scontato. Come in una poesia di Forugh Farrokhzad: «Se verrai nella mia casa, amico, portami una luce e una finestra, che io possa osservare attraverso la folla felice nel vicolo». Li vedi, da quando l'autunno dell'Iran è iniziato, uno accanto all'altra, camminare in silenzio, senza armi, senza violenza, sempre di più, nelle strade, nei viali, nelle piazze, con la certezza che presto ci saranno gli assalti e picchieranno e spareranno e ti porteranno via e ti condanneranno a morte. Il regime spera che prima o poi riuscirà a spezzargli la schiena e urla che tutte queste proteste sono ispirate dal male assoluto, sono il sibilare che viene dagli Stati Uniti, e giurano che ci sarà una resa dei conti per chi sta tradendo l'Iran. Non guarderanno in faccia a nessuno. Non perdoneranno Farideh Moradkhani, nipote della «guida suprema» Ali Khamenei, presa, portata in carcere e ripudiata. Non daranno ascolto alla madre che scrive: «Presto arriverà la vittoria del popolo e verrà rovesciata questa tirannia al potere». Non concederanno la grazia a Fahimeh Karimi, allenatrice di pallavolo e madre di tre figli, condannata a morte per aver preso a calci un militare. Serve l'esempio, dicono gli ayatollah, e lei è amata e famosa e per questo deve morire. Il paradosso del regime è proprio qui.

Non vogliono eroi e fanno martiri. Simboli. Il Time le ha scelte. Sono loro le eroine del 2022. Ricordiamolo domani. Se la libertà, per disgrazia, non dovesse arrivare non chiudete le porte a chi sarà costretto a fuggire. Non parlate di frontiere.

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