La Tunisia è stata la culla delle rivolte arabe. Il suo dissenso ha innescato altre rivoluzioni. Oggi è diventata un'eccezione. Il Paese ha votato domenica per la seconda volta dai giorni delle manifestazioni di piazza, in elezioni considerate cruciali nella transizione democratica. In un risultato che va contro le tendenze regionali, numeri non ancora definitivi danno la vittoria alle forze laiche. Il partito islamista moderato Ennahda, che aveva vinto le prime elezioni parlamentari del 2011, ieri ha ammesso la sconfitta: «Accettiamo il risultato e ci congratuliamo con i vincitori», ha detto il leader Rashed Ghannouchi.
I vincitori sono i laici di Nidaa Tounes, un movimento nato nel 2012 in reazione al rafforzarsi di Ennahda. Il loro messaggio si è articolato proprio sull'opposizione al governo islamista. Al suo interno ci sono laici, liberali, vecchi volti noti dell'era dell'ex raìs Zine El Abidine Ben Ali, ma anche membri dei sindacati. Il suo leader, l'ex premier della transizione Beji Caid Essebsi, è stato ministro negli anni del dittatore. «Abbiamo vinto, lunga vita alla Tunisia», hanno già scritto sul profilo Facebook del partito. Secondo i primi numeri parziali fatti circolare ieri dai media tunisini, Nidaa Tounes avrebbe circa il 37-38% dei voti - 83 seggi - contro il 28-30% di Ennahda, circa 68 seggi sui 217 del Parlamento. Per avere la maggioranza, i vincitori laici dovranno comunque invitare altri movimenti in coalizione, e gli islamisti potrebbero comunque sedere al governo.
Per ora, la linea di Ennahda è proprio quella del sostegno alla condivisione del consenso. Il leader Rachid Ghannouchi ha sottolineato l'importanza di un esecutivo di unità nazionale: «Questa è la politica che ha salvato il Paese dal destino delle altre nazioni della primavera araba». Dopo le accuse di connivenza con frange radicali dell'islamismo locale in seguito all'assassinio di due deputati della sinistra, Ennahda ha infatti fatto un passo indietro e acconsentito alla formazione di un governo di unità nazionale. Gli osservatori dell'Unione Europea hanno definito il voto «più che soddisfacente».
I tunisini hanno aspettato a lungo e ordinatamente in coda ai seggi. Ha votato più del 61% degli elettori, e 80mila uomini delle forze di sicurezza erano dispiegati per prevenire attacchi contro gli uffici di voto. Il timore, infatti, erano attentati da parte delle forze islamiste più radicali, accusate nel Paese di destabilizzazione non soltanto nelle lontane zone montagnose dell'Ovest. Le famiglie e i partiti dei due deputati uccisi a Tunisi hanno sempre accusato gruppi estremisti d'essere dietro agli assassini. Ennahda ha pagato alle urne anche quello che per molti tunisini è considerato un atteggiamento ambiguo nei confronti di elementi e frange radicali islamiste.
Per molti analisti, le derive violente e la radicalizzazione religiosa in Libia, Siria ed Egitto sarebbero servite da monito alla Tunisia.
Il risultato e la svolta laica di un Paese dalla robusta tradizione secolare sono senz'altro un'eccezione regionale, come ha fatto notare anche il segretario di Stato americano John Kerry: «Questa pietra miliare nella transizione della Tunisia verso la democrazia esemplifica perché la nazione resti un faro di speranza non solo per il popolo tunisino ma per la regione e per il mondo». Anche il Washington Post ha parlato di «un'anomalia»: «L'unico Paese in cui il risultato non sono stati una guerra civile o una rinnovata dittatura».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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