A inizio Novecento Duncan MacDougall dichiarò di aver misurato una differenza di peso sui corpi umani prima e dopo il trapasso: 21 grammi, il peso dell'anima. Un secolo di ricerca scientifica dopo, ancora nessuno ha saputo calcolare quanto pesano invece i rancori personali nelle scelte politiche.
Fingiamo tutti di credere che segretari di partito, presidenti e governatori siano mossi solo dal senso sacro della propria morale. I più cinici e disillusi invece riducono tutto a ideologia, interessi di parte o peggio ancora a miserrimi fini personali. Ma nessuno mette sul piatto della bilancia i sentimenti umani, le storie, le ripicche. Mesi e anni di sgarbi (con la s minuscola) e tradimenti, rivalità e competizione, possono essere nascosti dai sorrisi di coalizione e dalle dichiarazioni di facciata, ma alla fine arrivano sempre al pettine. E il Parlamento del voto segreto durante l'elezione del presidente della Repubblica è il salone di parruccheria perfetto per strapparli tutti.
Già, perché in questi giorni la commedia disumana dei personaggi in campo pesa molto più dei 545 grammi della Commedia umana di Balzac in edizione Mondadori. Pesa quanto pesa per tutti i comuni cittadini, alle prese con colleghi odiati o superiori avvelenati. L'ordito di ripicche è così spesso da non lasciare filtrare luce. C'è l'ego ferito di Giuseppe Conte a cui Renzi ha fatto le scarpe per farle calzare ai piedini fatati di Draghi, ragion per cui entrambi sono finiti nel libro nero dell'ex premier, addirittura facendogli dimenticare l'astio per Salvini e la pugnalata del Papeete. Non ha invece dimenticato l'«Enrico stai sereno» quel Batman pallido di Letta, per cui Renzi è una specie di Joker, mentre per D'Alema è proprio l'anticristo. E che dire di Franceschini, l'unico che in questi mesi si sia costantemente - e bisogna ammettere anche coraggiosamente - scontrato con il premier e che da settimane fa scouting per convincere i dem a non mandarlo al Colle?
D'altronde è quasi più bello così, che antipatie personali, odio e fastidio riprendano il comando delle azioni umane. Così si sussurra che senatori di ogni colore, che adorano il profumo della Schadenfreude al mattino come il napalm di Apocalypse now, pregustino il momento in cui silurare la diversamente amata presidente Casellati. E che dai recessi della Prima Repubblica il fantasma della Balena Bianca stia tornando per cercare di sanare vecchie beghe sulla pelle di Casini come gli antiberlusconiani hanno fatto con il Cavaliere. Di certo queste incrostazioni di risentimento hanno una coloritura romanzesca e psicologica più affascinante di certe beghe sotterranee e di cortile che pesano altrettanto. La rivalità Meloni-Salvini, l'eterno derby leghista Salvini-Giorgetti, le rese dei conti fra maggiorenti di Forza Italia governativi e non e quelle fra i capataz grillini. Non c'è partito che sia esente dalle logiche e dalle idiosincrasie private, e questo perché grazie a dio poco conta che si parli di movimenti, bocciofile, partiti di plastica o collettivi: sono sempre tutti costituiti da esseri umani, prima o poi prede di emozioni e moti irrazionali.
Tra i quali regna sovrana la sete di rivalsa, quella brama bruciante di rendere pan per focaccia e ripagare con la stessa moneta il nemico vero o percepito, non importa quanto tempo dopo il torto subito.
Per esempio sacrificando sulla pira della vendetta e fra grida di giubilo le velleità quirinalizie del tecnico che fece strame dei politici. La ruota gira per tutti, la riva del fiume è affollata di spettatori in attesa dei cadaveri. A volte, come diceva Nino Manfredi in Nell'anno del Signore, «c'è sempre bonissima giustizia».
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