Moussa Sangare è uscito di casa con quattro coltelli ma non sa perché ha ucciso. Gli andava così. Non voleva colpire proprio Sharon, ma le è capitata lei sotto tiro e l'ha ammazzata.
Un concatenarsi di non sensi che rende inspiegabile il delitto. E ci porta a parlare di malattia psichica. Ma la Società italiana di psichiatria frena.
Presidente Emi Bondi, l'assassino di Sharon era un ragazzo con problemi psichici e mentali?
«È troppo presto per dirlo. La malattia mentale raramente esordisce con un omicidio. Ha una serie di sintomi preliminari, di segnali che ci sono prima ed hanno un loro decorso che raramente porta a comportamenti aggressivi».
Qualche precedente di violenza in famiglia il killer ce l'ha.
«Questo elemento va verificato e può aiutare. Si tratta comunque di capire la reale motivazione che ha portato l'assassino a uccidere Sharon Verzeni».
La Procura sostiene non ci sia stato movente. E Moussa Sangare dichiara: «Mi andava di farlo».
«Anche i serial killer hanno motivazioni latenti che li portano a fare delle scelte. Tutte condizioni da approfondire e che in questo momento non sappiamo. Non bisogna mai fermarsi all'apparenza e alle dichiarazioni rese al momento dell'arresto».
Quindi non dobbiamo credere alla versione del raptus?
«Non è detto sia la verità. Abbiamo troppa fretta di dare un nome alle cose, ci serve per esorcizzare una realtà altrimenti inaccettabile».
Ci spieghi meglio. Stiamo usando etichette?
«Questo è un delitto pieno di cliché. Del resto è il modo che la nostra mente ha per accettare l'assurdo: c'è il cliché dell'uomo nero, che spunta dal nulla, uccide senza motivo e sparisce. L'incubo per eccellenza che ci viene raccontato nelle storie da bambini. C'è il cliché del malato psichico per spiegare una violenza immotivata, per dare un nome a una persona strana. E c'è il cliché dei sospetti sul fidanzato sul Sharon, il primo a cui tutti abbiamo pensato, abituati dagli ultimi grossi fatti di cronaca a incasellare così i ruoli. Lo stesso killer usa un cliché parlando di quello che ha fatto nei primi interrogatori: quello del raptus. Ma non è detto che sia stato davvero raptus».
Come si immagina la personalità del killer?
«Dietro quello che lui chiama raptus ci possono essere tante motivazioni che lui nasconde a se stesso, che molto probabilmente non sa descrivere da solo. Motivazioni distorte dalla sua mente ma presenti. Sicuramente ha manifestato frustrazione, repressione, rabbia, senza essere capace di controllare le sue pulsioni emotive. Oppure è semplicemente una persona abituata a usare il linguaggio della violenza, come pare abbia già fatto con i suoi comportamenti aggressivi nei confronti della madre e della sorella. Capiremo qualcosa di più dopo la perizia psichiatrica».
Lei pensa sia stato sotto effetto di droga?
«Può anche essere.
Molte sostanze disinibiscono e, quando c'è un disagio mentale (ammesso che in questo caso ci sia), possono essere deleterie e aumentare di 6 o 7 volte i comportamenti aggressivi.Ma di questa storia ci sono ancora moltissimi aspetti da capire, non cadiamo nel luogo comune».
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