Per capire quale sia, in questo momento, lo spazio per una trattativa basta guardare il video postato su twitter dal redivivo generale Valerii Zaluzhny, il comandante in capo delle forze armate ucraine che fonti russe davano, nei giorni scorsi, per gravemente ferito. Nel video, ispirato ad una preghiera di un secolo fa, un gruppo di combattenti ucraini pesantemente armati inneggia alla distruzione del nemico. Il tutto mentre il messaggio di accompagnamento del generale sembra annunciare l'avvio della tanto attesa controffensiva.
«È tempo - scrive Zaluzhny - di riprenderci ciò che è nostro». Un invito in linea con le dichiarazioni dal segretario del Consiglio di Difesa e Sicurezza nazionale ucraino Oleksiy Danilov che in un'intervista alla Bbc parla di «opportunità storica da non sprecare» anche se rifiuta di indicare date precise per il via alle operazioni. A tutto questo s'aggiungono le allusioni di Mykhailo Podolyak, il bellicoso consigliere di Zelensky pronto a spiegare al quotidiano inglese Guardian che «certi processi - come la distruzione delle linee di rifornimento o la distruzione dei depositi di armi russi nelle retrovie - sono già in corso». Dichiarazioni accompagnate dalle notizie sull'intensificarsi di esplosioni nella zona intorno a Berdyansk, la città portuale affacciata sul mar di Azov - a metà strada tra Mariupol e Melitopol - dove i russi avrebbero dispiegato importanti depositi di armi e strutture logistiche. In questo contesto sembra dunque assolutamente illusorio attendersi una disponibilità ucraina al negoziato.
Oggi il principale obbiettivo di Volodymyr Zelensky, Zaluzhny e di tutto il governo di Kiev è solo dimostrare agli alleati che le armi occidentali sono in grado di fare la differenza garantendo un'avanzata fino ai confini della Crimea o, perlomeno, una profonda avanzata verso sud capace di spaccare in due le linee russe nella provincia di Zaporizhzhia.
A Mosca la situazione non è molto diversa. Reduci da una vittoria simbolicamente importante a Bakhmut, i russi puntano soprattutto a respingere l'imminente offensiva nemica. Anche perché fermare gli ucraini significherebbe infliggere ulteriori pesanti perdite alle già provate compagini di Kiev vanificando il rischio di ulteriori controffensive. Questo consentirebbe a Mosca di pianificare in seguito la totale conquista del Donbass indispensabile per rivendicare il raggiungimento di uno degli obbiettivi primari dell'Operazione Speciale.
Insomma per Kiev, come per Mosca, qualsiasi ipotesi di negoziato non può prescindere dal risultato dell'imminente campagna di primavera. Dunque poche illusioni. Le incursioni negoziali del cinese Li Hui, reduce da colloquio a Mosca con il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, le ipotesi di dialogo del presidente brasiliano Luiz Inacio Lula e - non ultima - la mediazione vaticana affidata al cardinale Matteo Zuppi possono per il momento creare un contesto e un'atmosfera, ma non certo generare risultati concreti nel breve periodo. Senza contare che qualsiasi trattativa, accettata o discussa da Kiev, non potrà non avere il beneplacito di una Casa Bianca principale protagonista dell'impegno occidentale a fianco dell'Ucraina.
La parola trattativa - prima di passare da Kiev a Mosca - deve inevitabilmente transitare per Washington.
E questo - vista la determinazione e la priorità con cui la Casa Bianca ha puntato su forniture di armi e piani militari - ci fa capire quanto il negoziato cinese, brasiliano o vaticano, restino per ora ben lontani dal garantire risultati.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.