Il cammino sarà lungo e, come sempre, complesso e accidentato. Ma già da questa settimana si inizierà a capire la cifra e il tenore del dialogo tra maggioranza e opposizione sulle riforme. La richiesta di confronto da parte di Giorgia Meloni è partita da tempo: vediamoci e parliamo di come far funzionare meglio la governance del Paese. E il giorno del dialogo è arrivato: nonostante le inevitabili diffidenze il galateo istituzionale avrà la meglio e domani la presidente del Consiglio si confronterà sia con Elly Schlein sia con Giuseppe Conte.
La volontà del centrodestra è nota, l'obiettivo di partenza resta il presidenzialismo. Il «no» delle opposizioni è altrettanto noto, magari con qualche possibilità di dialogo maggiore con l'ex Terzo Polo. Il desiderio di ricercare una sintesi esiste, ma è chiaro che l'opposizione dovrà uscire dal fortino e mettere in campo un approccio costruttivo. La segretaria del Pd finora non ha dato molti segnali e continua a restare serrata nel fortino delle battaglie identitarie. «Temo che si riveli non un momento di vero confronto, ma solo l'ennesima operazione per distogliere l'attenzione da altre questioni, su cui il governo ha fatto scelte scellerate, dal lavoro all'immigrazione», le sue parole.
L'importanza delle riforme viene chiarita da Maria Elisabetta Alberti Casellati. «Sono una scelta non solo necessaria ma anche obbligata per dare credibilità all'Italia e rafforzare il circuito democratico» ha spiegato la ministra per le Riforme istituzionali, alla convention di Forza Italia a Milano. «In 75 anni di vita repubblicana abbiamo avuto 68 governi con durata media di 14 mesi, ci serve stabilità per dare respiro a cittadini e imprenditori che si trovano in un cambio continuo di norme. La stabilità significa una rivoluzione di carattere economico e la possibilità di programmare il futuro. Perché la durata di 14 mesi significa danni all'economia».
Chi rivendica un ruolo in questa delicata partita è la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome che chiede un incontro a Giorgia Meloni. In una lettera a firma del presidente della Conferenza Massimiliano Fedriga si legge: «Per il sistema delle Regioni è, da tempo, avvertita l'esigenza di condividere percorsi volti a superare le criticità che interessano ciclicamente il sistema istituzionale e, in particolare, gli enti territoriali. Desidero rappresentarle sin da subito la nostra volontà di contribuire in modo propositivo a questo percorso».
Se Fedriga invoca un ruolo attivo per Regioni e Province, il centrodestra teme che alla prova dei fatti il centrosinistra finisca per sottrarsi al dialogo. «L'Aventino? Sarebbe un grave errore» dice Antonio Tajani ospite da Lucia Annunziata. «Credo che i cittadini abbiano diritto a scegliersi il loro governo. Vogliamo che le opposizioni partecipino alla scrittura. Se dicono no, andremo avanti, poi ci saranno i referendum e decideranno i cittadini». Sul punto di approdo possibile il vicepremier e ministro degli Esteri ha un'idea chiara. «Credo che per l'Italia, forse, il premierato possa essere la soluzione più gradita alla maggioranza delle forze presenti in Parlamento. La Costituzione non è una norma di fede, se non ci sono norme che consentono di governare, il Paese ne soffre. Si deve rafforzare la stabilità del nostro Paese». Giuseppe Conte, però, solleva subito un'obiezione.
«Qual è la figura che ci fa riconoscere come tutti membri appartenenti a un comune destino? È il capo dello Stato. Se introduciamo il premierato ne esautoriamo le funzioni». Un primo segnale che lascia intendere che far scattare il semaforo verde fuori dal perimetro della maggioranza sarà impresa ardua.
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