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Reddito da barzelletta Luigi si smarrisce nell'ennesima versione

I 15 miliardi diventano 7, il «navigator», la platea, la durata... Di Maio resta nel caos

Reddito da barzelletta Luigi si smarrisce nell'ennesima versione

«La nostra norma sul reddito di cittadinanza è rivolta agli italiani. Per fare questo, noi alzeremo il tetto di permanenza dei lungo soggiornanti, quindi il tetto dei 5 anni, presente nella bozza del decreto, è da modificare, sarà più alto». Anche ieri il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, ha ribadito che nella stesura del decreto si farà di tutto per escludere i cittadini stranieri dal beneficio restringendo ancor di più la quota degli 1,2 miliardi per le famiglie non autoctone. Con buona pace delle direttive Ue e delle sentenze della Consulta.

D'altronde, si tratta solo dell'ennesima versione di un sussidio che, sebbene non sia stato messo nero su bianco da nessun provvedimento normativo, è cambiato già molte volte per stanziamento, platea di potenziali beneficiari e modalità di erogazione. Mettere ordine in questo caos, perciò, è necessario.

Coloro che hanno votato M5s il 4 marzo 2018 lo hanno fatto anche sulla base di una precisa promessa: il reddito di cittadinanza presentato nel programma come uno strumento per «contrastare la povertà, la disuguaglianza e sostenere l'inserimento lavorativo» attraverso un ammontare di 780 euro mensili per persona singola modificato per nuclei familiari più numerosi. Si trattava di un sussidio universale (non si parlava di esclusione degli stranieri) contro la povertà da destinare a 6,5 milioni di persone e non necessariamente finalizzato alla ricerca di lavoro che avrebbe dovuto costare 15,5 miliardi l'anno oltre a 2 miliardi per i centri per l'impiego. Nel programma di governo gialloverde il costo previsto rimane il medesimo, ma si trasforma in «misura attiva rivolta ai cittadini italiani al fine di reinserirli nella vita sociale e lavorativa del Paese». Su pressione leghista il sussidio diventa, perciò, un'assicurazione contro la disoccupazione in versione extrastrong.

La vera «rivoluzione» arriva con l'autunno come combinato disposto delle sopracciglia alzate di Bruxelles, dello spread galoppante e del crescente malcontento della base elettorale del Carroccio nella parte più produttiva del Paese. Lo stanziamento previsto nella manovra viene ridotto a 9 miliardi (8,1 miliardi per il reddito e le pensioni di cittadinanza più uno per la riforma dei Centri) e si inizia a parlare di Isee e di situazione patrimoniale del richiedente come discrimine per l'accesso e, soprattutto, come fattore di riduzione o incremento del bonus. La questione dei titolari di permesso di lungo soggiorno resta sempre sullo sfondo, ma il tiramolla con l'Ue fa passare tutto in cavalleria.

Tra ottobre e novembre 2018, anche grazie alle mirabolanti slide di Di Maio, si scopre qualche altra novità. All'interno dei Centri per l'impiego agirà una figura «misteriosa»: il tutor o navigator che si occuperà della formazione del sussidiato proponendogli offerte di lavoro consone. La platea, intanto, dagli iniziali 6,5 milioni di italiani si è ridotta a 5 milioni meno il 10%, cioè il 4,5 milioni di cittadini. Il reddito sarà erogato con una carta prepagata e la richiesta si potrà effettuare con lo Spid, il sistema di identità digitale.

Siamo così arrivati a gennaio e il decreto ancora non c'è, ma i fondi complessivi si sono ridotti a 7 miliardi, si è scoperto che la durata del sostegno è di soli 18 mesi (eventualmente prorogabili), sono state coinvolte tanto le agenzie per il lavoro quanto le imprese che possono beneficiare del reddito se

assumono un sussidiato e la richiesta, secondo le ultime previsioni, si presenterà presso un ufficio postale. Resta da chiarire quanti italiani e quanti stranieri lo percepiranno ma, vista la storia recente, è solo un dettaglio.

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