Nel mondo velocissimo e bulimico e trasformista della politica, cinque anni sono un'immensità. Per i grillini ancora di più. Ripescare il programma elettorale grillino del 2018, quello che portò il Movimento alla vittoria elettorale e alla nascita del governo giallo-verde, è un'esperienza straniante. Innanzitutto perché la versione dettagliata è praticamente introvabile: totalmente sparita dal sito ufficiale del Movimento o, quantomeno, abilmente occultata. D'altronde uno dei pilastri del mondo pentastellato era la trasparenza assoluta, la casa di vetro. Per gli altri, non per loro. Sul sito del ministero dell'Interno, tuttavia, è ancora reperibile la versione in 20 punti del programma politico (foto) del movimento, con firma autografa dell'allora leader Luigi Di Maio.
Tra le tante corbellerie promesse e alcune, purtroppo, mantenute giova rileggere il capitolo dedicato all'emolumento che ha reso famosi e vittoriosi i grillini. Già il titolo, un lustro dopo, sembra quanto meno ossimorico: «Reddito di cittadinanza: rimettiamo il paese al lavoro». È evidente a tutti come la regalìa M5S abbia, al massimo, rimesso il paese sul divano. Nel programma esteso il provvedimento viene spiegato più nel dettaglio: «È una misura attiva rivolta al cittadino al fine di reinserirlo nella vita sociale e lavorativa del paese. Garantisce la dignità dell'individuo e solleva il paese dalla profonda crisi occupazionale ed economica».
Qui è ancora più evidente quanto il reddito sia stato spacciato come una misura attiva per incentivare l'occupazione.
Quattro anni dopo, con una spesa di 35 miliardi e persino i navigator rimasti senza lavoro, possiamo affermare con certezza che, stando ai parametri posti dallo stesso Movimento, il reddito di cittadinanza nella funziona attiva è totalmente fallito. Così è rimasto per quello che è: un gigantesco voto di scambio, calcificatosi in una elefantiaca prebenda assistenzialista. E in una pericolosa arma di ricatto.
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