Azar Nafisi al telefono da Washington sottolinea ancora una volta il valore inestimabile della letteratura e della forza delle iraniane che combattono per la libertà. L'autrice di «Leggere Lolita a Teheran» il 22 settembre sarà di nuovo in libreria con «La Repubblica dell'immaginazione», edito da Adelphi. Nafisi segue da vicino le ultime proteste ed è convinta che nulla ormai potrà fermare la lotta per la democrazia.
Come vede ciò che è avvenuto il giorno dell'anniversario della morte di Mahsa Amini?
«Il regime ha paura. Il movimento non sarà schiacciato. Ci sono state decine di arresti, ma le persone non hanno più timore. Sono impressionata dall'unità, dalla passione del mio popolo, dalla forza dei suoi sentimenti. Ho molta speranza».
In che modo descriverebbe le iraniane?
«Il movimento per i diritti delle donne in Iran è iniziato nel 1852 quando Tahirih, una poetessa considerata esempio di coraggio dalla religione bahai, è apparsa senza velo e per questo è stata arrestata e ammazzata. Ma prima di morire ha detto: Puoi uccidermi quando vuoi, ma non puoi fermare l'emancipazione della donna. Le iraniane oggi dicono le stesse cose, cioè che non si può arrestare la loro lotta per la libertà. Il regime vuole che si pensi che la maggioranza degli iraniani gradiscono questo sistema, come ogni totalitarismo racconta bugie. Quella del regime non è la nostra cultura. Le donne invece desiderano mostrare la vera faccia dell'Iran».
Come rappresenterebbe il suo Paese a un occidentale?
«Mio padre diceva sempre che l'Iran è una nazione molto antica, è stata invasa molte volte, ma ciò che le dà identità è la sua poesia. La dittatura degli Ayatollah ha buttato giù le statue dello scià e della sua famiglia, ha cambiato il nome di molte strade, voleva anche abbattere la statua di Ferdowsi, un poeta epico molto amato. Possono essere cancellate le statue dello scià, ma non quelle dei poeti. L'Iran è il luogo della sensualità, della poesia, della letteratura. Anche se le forze di sicurezza sparano sulla gente, gli iraniani continueranno a ballare e cantare per strada. L'Iran è immaginazione e amore per la vita».
Che cosa si sente di consigliare ai suoi concittadini?
«Purtroppo non sono fisicamente con loro, ma l'Iran è nel mio cuore e nel mio spirito. Posso soltanto dare voce al movimento. Ho amici e parenti lì. Sognano un Iran libero e democratico. Nel mio Paese c'è tanta terribile violenza, ma anche molta speranza».
A che cosa è servito il sacrificio di Mahsa?
«Abbiamo celebrato la sua vita e pianto la morte. Mahsa è l'anima della rivolta. Con lei sono stati uccisi ragazzi e ragazze, gli uomini infatti hanno partecipato alle manifestazioni. Mahsa faceva parte di una minoranza quella curda ed era una donna. La sua lotta ha unito tutti gli iraniani. Si sono identificati in lei tutti quelli che credono nella libertà».
Le manca l'Iran?
«Sono nata lì, il persiano è stata la mia prima lingua. Quando sei in esilio ti mancano i dettagli: gli alberi, le montagne attorno Teheran, le cime innevate, i fiori, i suoni. Ma porto con me tutto ciò. Leggere e scrivere è il modo per connettermi con il mio Paese».
Che cosa le è più caro delle sue radici?
«Sono sbalordita dalla bellezza dei versi di Rumi e Ferdowsi. Amo tutte le donne e gli uomini che hanno contribuito a creare la casa perenne della poesia nel mio Paese».
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