Regioni, alberghi e maestri. La furia bianca per lo stop

L'urlo: "Pazienza finita, situazione drammatica". Un sindaco: "No alle elemosine, fateci lavorare"

Regioni, alberghi e maestri. La furia bianca per lo stop
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Alla fine a Mario pare di aver perso il treno due volte: da una parte il suo Orient Express è fermo da mesi. Lui, maître di bordo per cabine da mille e una notte, aveva accettato un lavoro per poche settimane a Cortina, in uno degli hotel storici della conca, al servizio di atleti e giornalisti, impegnati nei Mondiali. Ora sa che non vincerà nessuna medaglia e probabilmente nemmeno un rinnovo di contratto. Questo blocco degli impianti da sci è come l'ultimo treno notturno perso per un lavoro almeno stagionale, in attesa di ripartire per Istanbul o Parigi, sulle orme di Agatha Christie. La sua è una storia fra le mille ed è molto più amara di un giallo.

The day after, dopo l'ennesimo stop and go del governo, poteva esser il primo giorno di riapertura ed è, invece, un altro giorno di rabbia e frustrazione. A guidare il coro dei dolori sono i maestri di sci: «Sapere a poche ore dalla ripartenza che c'è un nuovo stop è frustrante: ci siamo preparati con il massimo rigore, non è un modo serio di affrontare una situazione già drammatica per 15mila famiglie che sono senza lavoro dal 10 marzo scorso», spiega Maurizio Bonelli, presidente Amsi (associazione maestri sci italiani). Di assurdo «tira e molla» ha parlato anche Valeria Ghezzi, presidente di Anef nazionale, l'associazione che riunisce il 90 per cento delle società funiviarie italiane: «Dopo aver rispettato ogni decisione, a Draghi chiediamo che siano loro a rispettare gli impegni presi sui ristori. Abbiamo terminato la nostra pazienza». L'arco alpino, da ovest a est è in subbuglio: c'era chi aveva già aperto le prenotazioni on line, anche con successo, come in Piemonte, chi ora si affretta, come Bormio, a garantire che il rimborso dei ticket già pagati avvenga automaticamente nelle prossime settimane. «Questo dietrofront non ha solo rivolti economici, ma anche occupazionali - spiega Marco Rocca, ad delle piste di Mottolino -. Abbiamo coinvolto collaboratori stagionali da tutta Italia: che garanzie possiamo dare loro fino al 5 marzo e anche oltre?». Per molti operatori non serve guardare all'Europa, se lo si fa solo quando serve: «In Austria, Francia e Germania i ristori sono già arrivati a chi è rimasto chiuso dal marzo scorso. In Italia non abbiamo ancora visto un euro». Non solo: in Austria, dove si è deciso comunque di aprire, almeno dopo il lockdown di dicembre, si è provveduto a organizzare una combinata di misure skipass più swab, il tampone rapido - che sembra per ora vincente: in Tirolo, per esempio, proprio al confine con l'Italia (come mai?), si scia solo presentandosi con un tampone rapido negativo. Il Trentino è rimasto beffato due volte dal passaggio in zona arancione, dopo mesi «virtuosi» in giallo: «Questo è l'ennesimo colpo per la montagna» dichiara Michele Bertolini, direttore del Consorzio Pontedilegno-Tonale, a cavallo con la Lombardia: «Non si discute la scelta perché la salute viene prima di tutto, ma il tempismo che ci ha fatto lavorare fino all'ultimo, impiegando energie e risorse».

Parla da albergatore, ma con la saggezza del discesista navigato anche Gustav Thoeni, dal suo hotel di Trafoi: «Lo sci non è il problema, ma con così scarsa mobilità il mercato sarebbe fermo e allora non è forse sbagliato attendere l'estate per riaprire». La chiusa - amara - è di Roberto Vaglio, sindaco di Cesana: «L'elemosina non ci serve, noi vogliamo lavorare». Come ha intuito anche il neoministro Garavaglia: «La stagione è finita».

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