«La differenza fra la vittoria e la sconfitta la farà il nome del presidente del consiglio. Se sarà un nome del Pd sarà una vittoria del Pd e degli italiani». Un nome, fa capire Matteo Renzi, che non deve essere necessariamente il suo: «Non mi pongo il tema personale». E omaggia Gentiloni: «Ha dimostrato di essere un ottimo presidente del Consiglio, ora possiamo dirlo».
Finite le vacanze natalizie, il leader del Pd torna in campo e cerca di impostare una campagna elettorale complicata. Nella quale, promette, «saremo concreti fino alla noia: faremo un elenco, noiosissimo, di cento risultati raggiunti dai nostri governi, dall'Expo alle tasse, e per ciascuno di questi indicheremo un obiettivo». Del resto, i risultati portati a casa non sono indifferenti, ricorda: «Quattro anni fa l'Italia era in crisi nera. Adesso il Pil cresce, l'occupazione sale, la fiducia di consumatori e imprese è ai massimi livelli». Sul risultato del Pd, spiega, «speriamo di far meglio della volta scorsa», quando con Bersani il Pd raccolse il 25%.
La partita più complessa però resta quella delle liste elettorali: al Nazareno si lavora ad una mappa dei collegi, da quelli sicuri a quelli certamente persi, passando per quelli contendibili, e si ragiona su come disporre le pedine. La più ingombrante resta Maria Elena Boschi, e ieri Renzi ha smentito la voce che sarebbe stata candidata solo in un collegio, senza il paracadute del proporzionale: «Sarà ricandidata e vedremo dove, penso in più di un posto come tutti gli altri. Come me che mi candiderò sia nel collegio di Firenze e poi ragionevolmente in Lombardia e Campania». Paolo Gentiloni sarà capolista nel proporzionale, in più circoscrizioni possibili. Quanto a Renzi, è lui stesso a spiegare: «Sono pronto per la campagna elettorale: il mio collegio sarà Firenze. Passo dall'auto blu alla vespa blu: andrò casa per casa».
Il leader del Pd esulta per la Lombardia: «Senza Maroni per Gori la partita sarà più semplice». Ma la Leu di Bersani e D'Alema è pronta a dare una mano al centrodestra rifiutando l'alleanza con il Pd, che invece nel Lazio di Zingaretti ci sarà. «Ogni voto che va alla sinistra radicale, fa scattare il seggio a Salvini, non alla Boldrini», attacca Renzi.
Intanto il Pd approfitta degli scivoloni degli avversari: l'incauto Pietro Grasso è inciampato sulla boutade del «via le tasse universitarie», e ieri lo stesso Bersani si doveva arrampicare sugli specchi per giustificare la scombiccherata sortita. Dal Nazareno parte all'attacco Tommaso Nannicini, spiegando che si tratta di una proposta «non solo demagogica ma anche fortemente regressiva». I meno abbienti, ricorda, già non le pagano. «Una norma scritta da Grasso ma pensata per Di Maio», ironizza Renzi. Quanto ai Cinque Stelle, la giunta Raggi è sempre una manna per gli avversari politici, come sul caos rifiuti, che la Capitale non sa più dove ficcare e a chi spedire.
E da ex sindaco, Renzi non manca di infierire sugli infiniti pasticci degli amministratori della Capitale. E su Silvio Berlusconi Renzi dice: «Non è un pericolo per la democrazia, ma è uno straordinario pericolo per l'economia in Italia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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