«Stiamo organizzando il G7 di Taormina, nel maggio del 2017, sarà il primo con il nuovo presidente degli Stati Uniti. E chissà chi ci sarà per la Francia...». Un accenno al prossimo futuro e alle sue fosche incognite, che Matteo Renzi lascia cadere durante un intervento pubblico in quel di Pescara, nel suo tour de force da un capo all'altro d'Italia.
Già, perché oltre all'incognita Trump e a quella francese (col segreto timore che possa finire come in Usa, e che all'Eliseo approdi Marine Le Pen), c'è l'incognita tutta italiana: ci sarà Renzi, quei giorni, a Taormina? Molto, praticamente tutto, dipende dall'esito del referendum del 4 dicembre: con la vittoria del No, come ha sempre detto, Renzi si dimetterebbe da premier. Ma a chi tra i suoi lo consiglia di accettare il reincarico che - come il Colle ha già fatto sapere - gli verrebbe subito affidato, il premier ha già risposto col consueto stile tranchant: «Io vado avanti solo con il Sì: se perdo non ho alcuna intenzione di restare a Palazzo Chigi a farmi rosolare da quelli là». Dove «quelli là» sono gli stessi che Renzi vuol usare come spaventapasseri per la sua campagna referendaria: i «Revenants» della foto di gruppo dei nemici della sua riforma costituzionale, da D'Alema a Fini, da Monti a Brunetta a Bersani. Che ieri sera Renzi è tornato ad indicare uno ad uno: «La classe dirigente che guida il No non è tenuta insieme da un'idea di Paese o una proposta di riforma: D'Alema o Grillo, Berlusconi e Magistratura democratica, Salvini o Monti sono tenuti insieme solo dall'essere contro». Un po' come nella stagione, ricorda, «in cui l'unico elemento unificante della politica e della sinistra italiane era parlare male di Berlusconi. Con l'unico risultato di rendere più forte Berlusconi e più divisa la sinistra».
Sono quei «Revenants», nella lettura dei renziani, che vogliono tenerlo lì «con le mani legate» per tentare di dargli il colpo di grazia. Il rifiuto di farsi «rosolare» a Palazzo Chigi in caso di sconfitta referendaria lascia dunque intravvedere uno scenario in cui Renzi, fuori dal governo, avrebbe l'obiettivo di accelerare il congresso Pd per farsi riconfermare alla segreteria, contando sull'assenza di candidati in grado di contendergliela, per poi andare ad elezioni più ravvicinate possibile da candidato premier.
Nel frattempo, però, Renzi lavora pancia a terra perché lo scenario sia un altro e a vincere sia il Sì, con la convinzione che i sondaggi che circolano siano poco attendibili, come dimostrano anche le elezioni Usa, e che un eventuale divario possa essere recuperato. Pescando ovunque, anche nel voto (non indifferente) degli italiani all'estero. A loro arriverà una lettera firmata dal premier, che avverte: «Siamo a un bivio, possiamo scegliere tra il non cambiare nulla o riformare il nostro Paese».
Ieri sera, dopo una raffica di appuntamenti tra Campania e Abruzzo accompagnata dal consueto copione di presidi di protesta organizzati da Cobas e centri sociali, il premier ha inaugurato il Festival della letteratura di Pescara, intervistato da Luca Sofri.
E anche qui le polemiche non mancano: leghisti e Sel accusano l'Ufficio scolastico regionale d'Abruzzo di aver invitato gli studenti a partecipare al Festival, e avanzano il sospetto che l'attestato di partecipazione «potrebbe essere presentato per provare a ottenere un credito formativo». Alle proteste Renzi replica così: «Preferisco stare sulle scatole a molti e provare a fare le cose per il Paese, che piacere a tutti e lasciarlo nella palude».
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