Per qualche giorno ancora, magari una o due settimane, il pudore verso le vittime prevarrà sulla ragion politica. Ma poi, inevitabilmente, si dovrà tornare a fare i conti con la realtà e il cinismo avrà la meglio sulle belle parole e sulle buone intenzioni. Solo allora Matteo Renzi potrà tirare le somme e capire se il nuovo profilo che si è andato ritagliando in questi giorni è destinato a resistere agli affanni della quotidianità.
Nelle ore che sono seguite al terremoto di Amatrice, infatti, il premier ha deciso di seguire uno schema per lui nuovo. E per la prima volta ha messo da parte i panni del leader rottamatore, quello pronto a giocare sempre e comunque all'attacco. Insomma, dal Renzi che a gennaio era arrivato con una buona dose di presunzione a dire che in caso di sconfitta al referendum era pronto addirittura a «lasciare la politica» si è passati al Renzi dell'unità nazionale. Quello che nella sua enews di due giorni fa ha chiesto a «tutti i partiti, anche a quelli di opposizione, di dare una mano e collaborare» per far fronte all'emergenza terremoto.
Renzi, dunque, segue lo spartito di Onna, che nel 2009 portò Silvio Berlusconi a celebrare il 25 aprile in mezzo ai terremotati e con i sondaggi che lo videro toccare il massimo della sua popolarità. L'obiettivo del premier è proprio questo: recuperare il tanto, troppo, terreno perso in questi due anni e mezzo a Palazzo Chigi. Dove è entrato come una sorta di Re Mida della politica, mentre oggi pare essere esattamente il contrario se l'unico modo per provare a vincere la partita referendaria è stato quello di lasciarsela alle spalle. Proprio perché questo è un periodo in cui qualunque cosa Renzi tocchi rischia di fare una brutta fine.
È per questo che l'inconfessabile tentativo del premier è quello di cavalcare l'onda dell'emergenza prima e della ricostruzione poi, magari riuscendo così a ribaltare quei sondaggi che fino alla scorsa settimana davano ancora in vantaggio i «No» al referendum, vero e proprio spartiacque della legislatura.
Che ci riesca è tutto da vedersi, perché sia la fronda interna al Pd che le opposizioni non hanno alcun interesse a regalare a Renzi il vantaggio della concordia nazionale in vista del voto di novembre. E anche per loro, alla fine, faranno i conti con la ragion politica.
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