Renzi: "Sì, lascio il Pd". Sinistra e governo a pezzi

Colloquio con l'ex premier che annuncia la scissione: "Con 12-15 senatori sarò ancora decisivo. Conte? Stia sereno..."

Renzi: "Sì, lascio il Pd". Sinistra e governo a pezzi

Il dado è tratto. Oggi, a parte ripensamenti dell'ultima ora (ma visto il carattere del personaggio praticamente impossibili), Matteo Renzi annuncerà la nascita dei suoi gruppi parlamentari autonomi dal Pd. «Solo chi è a digiuno di politica - ha spiegato - non capisce questa mia scelta. Formeremo due gruppi parlamentari uno di 25 deputati alla Camera e un altro tra i 12-15 senatori a Palazzo Madama. Due nuovi soggetti che saranno decisivi per la maggioranza e per il governo. Un governo che spero duri tre anni. Questa sera (ieri, ndr) ho telefonato al premier Giuseppe Conte per rassicurarlo di persona. Non farò neppure un'Opa sul centrodestra. Dario Franceschini mi ha scritto: Sbagli. Se te ne vai dal Pd, si spegneranno i riflettori su di te e non conterai più nulla. Vedremo. Io penso il contrario». Del resto basta prendere i dati della presenza di Matteo R. in tv, per scoprire che gli «altri» lo stavano già spegnendo.

Il dado è tratto. Matteo Salvini ha cominciato le manovre per la sua battaglia decisiva: bloccare l'approvazione di una legge proporzionale con un referendum o, più probabilmente, in Parlamento. L'editto di Pontida è facile da decrittare: una chiamata alle armi agli alleati e ai potenziali alleati per imporre una legge elettorale maggioritaria. Il sistema più consono alla sua visione - e a quella sovranista - della politica: tutto il potere ad uno solo. Lo spartiacque è lì. Matteo S. ha fatto questo ragionamento ad alcuni suoi parlamentari: «Facciamo il maggioritario e spacchiamo i 5stelle: una parte verrà da noi, un'altra andrà con la sinistra. E tanto per cominciare trovatemi i grillini buoni e portateli da me a prendere un caffè». Stesso discorso sul versante di Forza Italia. Racconta Renata Polverini: «Dai governatori del Nord è arrivata una richiesta perentoria ai nostri gruppi parlamentari: dovete raccogliere le firme per il referendum sul maggioritario».

Eh già, la politica si è rimessa in moto e, com'era nelle cose, lo scenario politico è destinato a mutare rapidamente e profondamente. E, paradossalmente, non è tanto il governo Conte a rischio (sempre che Salvini non riesca nell'impresa di metterlo in crisi), ma le regole del gioco e gli schieramenti futuri. Inutile dire che gli artefici sono Matteo R. e Matteo S.: gli unici che hanno una visione sul futuro. Il primo punta a una legge proporzionale e a fondare un nuovo soggetto politico che rappresenti un'area moderata, progressista, liberale (stile Macron o Ciudadanos) e parta con l'intento di allargare la capacità di rappresentanza del centrosinistra. Salvini, invece, ha l'obiettivo di imporre il sistema maggioritario per riproporre lo schema dell'egemonia sovranista sul versante del centrodestra. Gli altri protagonisti, invece, hanno la nostalgia del tempo che fu e reiterano le formule del passato. Nel Pd di Zingaretti si pensa all'Ulivo, magari nella forma di una coalizione che nasca dalla paura per il sovranismo o la destra. Sull'altro versante Forza Italia sogna il centrodestra di un tempo, esorcizzando il dato che Salvini ha rotto con i 5stelle perché hanno appoggiato a Strasburgo Ursula von der Leyen, cioè la candidata del Ppe, il partito di cui gli azzurri fanno parte. Insomma, i due Mattei hanno una «visione», condivisibile o no; gli altri guardano al passato e a volte rinunciano alla logica.

Spiega Renzi: «Io mi aspettavo che dopo la soluzione data alla crisi, in cui ho avuto qualche merito, Zingaretti si mostrasse più inclusivo. Probabilmente non avrei cambiato opinione sulla necessità di fare il passo dei gruppi autonomi, ma sarebbe stato un segnale. Invece è andato avanti con la solita cordatella. Non hanno capito che lo scenario sta cambiando. Ad esempio, io non credo che l'alleanza con i 5stelle possa diventare strutturale, come pensa Zingaretti. Senza contare che Salvini punta a prendersi un pezzo dei grillini. In questa prospettiva, invece di criticarmi, loro dovrebbero essere i primi a sapere che sono decisivo per tenere in piedi l'attuale quadro politico. Senza contare che la nascita di un nuovo soggetto moderato nel campo progressista, evita che l'attuale governo slitti troppo a sinistra. Una funzione non da poco».

Riflessioni che, per il momento, nel Pd latitano. Addirittura c'è chi, come Prodi e Veltroni, sottovaluta la valenza strategica della battaglia sul proporzionale (basterebbe guardare alla reazione di Salvini), magari con la mente rivolta all'Ulivo e al Pd di dieci anni fa e l'occhio concentrato sul Parlamento di oggi per la corsa al Quirinale. «Hanno dubbi sul proporzionale? Cavoli loro»: è la risposta netta di Renzi. Come pure Matteo R. non comprende le «riserve» di alcuni renziani sulla scelta. «Tra loro - osserva - c'è chi ha un'opinione diversa sulla strategia, ma anche chi ha lucrato nello stare con un piede di qua e un altro di là. Sono quelli che dicono non è il momento: ma se non ora, quando? Sono quelli che ci resteranno più male, perché d'ora in avanti Dario (Franceschini, ndr), che non pensava che avrei fatto questo passo, valorizzerà più i suoi. La verità è che la politica non è per tutti».

Appunto, la politica è una scienza complessa. Vale anche per Matteo S. «Salvini - è la diagnosi del suo predecessore alla guida della Lega, Roberto Maroni - ha rischiato e ha perso. E ora deve affrontare la traversata nel deserto. Se riesce a strappare il voto subito, riproporrà la strategia sovranista. Andrà alle urne da solo e Berlusconi sarà finito. Se, invece, subirà la legge proporzionale, dovrà sedersi a un tavolo, ragionare con la coalizione di centrodestra e magari potrà ancora aspirare a Palazzo Chigi se avrà più consensi degli altri. Ma per arrivarci dovrà mettersi la cravatta».

La politica è spietata. E tante volte gli attori, per ragioni di ruolo, non dicono davvero ciò che pensano. Sulla mossa di Renzi, ad esempio, Gianni Cuperlo è comprensivo: «Ormai è inevitabile. Non posso, però, dire che mi piace». Non può dirlo, ma può pensarlo: Cuperlo già sogna il ritorno nel Pd di D'Alema e Bersani. Mentre sull'altro versante, viste le «voci» su un Salvini nel mirino della magistratura interventista,unita sotto le insegne della nuova maggioranza giallorossa, ci sono già quelli che sognano una svolta del leader del Carroccio di segno garantista. E c'è invece chi, come Gianfranco Rotondi, il diktat di Salvini sul maggioritario non lo digerisce proprio: «Se Berlusconi gli andrà dietro solo perché non ne può più, solo perché è stufo, dovrà dare a noi, che non la pensiamo allo stesso modo, la possibilità di fare una scelta diversa.

Dandoci la stessa benedizione. Una scissione consensuale. Andranno con Salvini quelli di noi che saranno garantiti con le poltrone, pardon i posti in lista. Mentre gli altri giocheranno un'altra partita. Ma sempre nel nome del Cav».

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