Milano. La coltre di raffinato intellettualismo del mondo dell'arte - in particolare la street art e il fascino dell'enigmatica figura dell'artista inglese Banksy - serviva a coprire, ma anche a «lavare», gli ingenti ricavi illeciti di uno dei traffici internazionali di stupefacenti più strutturati e vasti mai partiti dall'Italia, legato a filo doppio a latitanti camorristi e della Sacra corona unita, ma anche a criminali lituani e sudamericani. Questa organizzazione - con ramificazioni nel nord Africa, ma anche in Colombia e in Argentina, grazie a una serie di corrieri perlopiù sconosciuti tra loro e che dialogavano attraverso telefoni rigorosamente criptati - è stata sgominata in tre anni di indagini che si sono concluse ieri con 31 ordinanze di custodia cautelare per associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti e al riciclaggio di opere d'arte, grazie all'impegno della sezione Narcotici della squadra mobile di Milano, guidate rispettivamente da Domenico Balsamo e dal dirigente Marco Calì.
A Milano l'inchiesta parte in sordina nel 2019 e punta subito i fari sugli affari sporchi e legati al narcotraffico dei titolari di un noto ristorante di pesce di Peschiera Borromeo, soggetti all'apparenza di scarso spessore criminale. In effetti il vertice criminale dell'inchiesta ha un ben più ampio respiro ed è rappresentato da un personaggio quasi istrionico nella sua abilità (e l'evidente compiacimento) a destreggiarsi nel ruolo di broker della droga da una parte e dall'altra in quello di imprenditore d'arte esperto di «giganti» come Keith Haring, Michel Basquiat e appunto Banksy, nonché contitolare di una galleria ad Amsterdam. La figura di Andrea Deiana («Banksy», come appare ovvio, il nickname da lui scelto per il telefono criptato), 41 anni, laziale di Terracina, da sola infatti meriterebbe un serio approfondimento. Tuttora latitante, già arrestato in passato in Italia e in Germania per fatti di droga, secondo questa inchiesta coordinata dalla Dda milanese, Deiana sarebbe «un importantissimo broker internazionale di stupefacenti, in grado di organizzare forniture per centinaia di chili», in particolare cocaina ma anche ketamina di cui, nell'indagine, risulta acquirente persino quell'Alberto Genovese (tra gli indagati) proprietario dell'ormai arcinota «Terrazza Sentimento» nella centralissima piazza milanese di Santa Maria Beltrade, già a processo per violenza sessuale con uso di droghe su due modelle e arrestato nel 2020.
«Alla fine ho scaricato 617 chili (di hashish, ndr) a Milano e 180 a Roma» diceva in una chat Deiana a Manuel Fernandez, l'uomo che per gli inquirenti «provvedeva al ritiro dello stupefacente una volta illecitamente portato in Italia». Nel futuro Deiana aveva in programma di importare una tonnellata nella Capitale («prossima 1000 a Roma»). L'importazione del maxi carico di 617 chili secondo l'inchiesta era stato organizzato con un altro latitante e ricercato per questa inchiesta dalla Mobile, Vincenzo Amato, esponente del clan Coluccia di Galatina (Lecce).
Nell'ordinanza di 858 pagine Deiana emerge come «un broker internazionale di elevato spessore criminale in stabile contatto sia con i narcos sudamericani sia con uno dei più importanti trafficanti di droga al mondo, Imperiale Raffaele», estradato in Italia a fine marzo scorso dagli Emirati Arabi dopo una latitanza «dorata» a Dubai. Imperiale, ritenuto vicino al clan camorristico degli Scissionisti e anche lui col pallino dell'arte, è stato ribattezzato il «boss dei Van Gogh» per avere acquistato, custodito e poi fatto anche ritrovare due preziosissime tele del celebre pittore fiammingo che erano state trafugate ad Amsterdam nel 2002.
Tra l'altro è lo stesso Deiana in alcune chat a raccontare «di aver fornito un importante supporto alla latitanza di Imperiale». Scrive infatti nell'agosto del 2020, parlando di lui: «Quando il mio amico era in Europa era latitante e stava sempre con me, vivevamo stessa casa».
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