Roma - L'improvvisazione è la cifra della gestione di ogni emergenza terremoto in Italia. Un Paese ad alto deficit e ad ancor più elevato debito incontra sempre grandissime difficoltà nel reperire le risorse per finanziare le ricostruzioni post-sismiche. Quindi ad ogni occasione la risposta è sempre la medesima: più tasse. Non è un caso che dopo quanto accaduto ad Amatrice e nelle Marche la prima idea del governo Renzi, dopo aver raschiato il fondo del barile per stanziare 50 milioni, sia stata un déjà-vu, ossia l'aumento delle accise sui carburanti, sui tabacchi e forse sui giochi d'azzardo.
Anche se la necessità e l'urgenza di fornire un aiuto concreto a chi ha perso tutto potrebbero giustificare un simile intervento, va anche ricordato che l'incremento delle accise è per sempre, mentre l'emergenza, in quanto tale, è transitoria. Non è un caso, infatti, che automobilisti e motociclisti si trovino a pagare ancora 0,0981 centesimi per il finanziamento della guerra d'Etiopia del 1935-1936 e 0,723 centesimi per fronteggiare la crisi di Suez del 1956. Allo stesso modo, rimettere in piedi una città colpita da un cataclisma in Italia significa pagare maggiorazioni delle accise per decenni. Il prezzo delle benzine oggi contempla ancora i contributi straordinari per i terremoti del Belice (1968, 0,516 centesimi), del Friuli (1976, 5,11 centesimi), dell'Irpinia (1980, 3,87 centesimi), dell'Aquila (2009, 0,51 centesimi) e dell'Emilia (2012, 2 centesimi). Anche l'alluvione diventa eterna nella nostra Italia: con i carburanti si paga ancora quella di Firenze del '66 (0,516 centesimi) e quella della Liguria del 2011 (0,89 centesimi) senza contare che la memoria del disastro del Vajont nel lontano 1963 pervade le nostre tasche con una maggiorazione dell'accisa di 0,516 centesimi che si paga tuttora.
Che cosa significa quest'elenco di sciagure? Oltre il dolore resta che il 52% circa dei prezzi dei carburanti è rappresentato dalle tasse, cioè dall'Iva e dalle accise. Queste soluzioni dell'ultimo minuto rendono l'Italia il terzo Paese europeo nella classifica di quelli che applicano i prezzi più elevati di benzina e diesel. E non potrebbe essere altrimenti se ogni anno l'accisa sugli energetici fa incamerare quasi 25,5 miliardi all'erario che la utilizza per gli scopi più disparati come i rinnovi contrattuali degli autoferrotranvieri e come il finanziamento del Fondo unico dello spettacolo. Nei primi sei mesi del 2016 la misera ripresa in atto ha fatto aumentare gli incassi dello 0,7% su base annua a 11,3 miliardi, ma è chiaro che a nuovi incrementi delle accise potrebbe corrispondere una gelata dei consumi vanificando gli intenti di Renzi, Padoan & C.
Se all'emergenza si risponde con l'improvvisazione, il risultato non può che essere deludente: sperare di recuperare un paio di centinaia di milioni danneggiando un settore strategico con una maggiorazione delle imposte che diventa perenne non è saggio. D'altronde, va detto che l'Italia non ha molte alternative. Il Fondo di solidarietà dell'Unione europea potrebbe elargire per l'emergenza terremoto circa 350 milioni di euro a fondo perduto da utilizzare in 18 mesi.
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