Tutti contro tutti nella strana storia di Artem Uss, magnate russo ricercato dall'America e scappato senza sforzo dall'Italia il 22 marzo. Di fronte alle troppe falle che hanno permesso a Uss di ottenere gli arresti domiciliari e poi di andarsene indisturbato su un jet privato, il governo ha puntato il dito contro la Corte d'appello di Milano, che alla fine di novembre aveva fatto uscire il russo dal carcere. Ieri, dopo l'annuncio dell'ispezione ministeriale sui giudici milanesi, si scopre che invece - secondo gli stessi giudici - il governo è almeno corresponsabile del trattamento soft di Uss, non essendosi opposto ai domiciliari e avendo anzi fatto da garante con le autorità americane, giustamente preoccupate che l'oscuro businessman tagliasse la corda. Ma si apprende anche che all'interno degli uffici giudiziari milanesi si è aperto uno scontro proprio sulla vicenda Uss: la Procura generale ha chiesto conto alla procura della Repubblica del mancato sequestro di due telefoni cellulari che Uss aveva con sé al momento del fermo a Malpensa il 17 ottobre e che gli vennero lasciati a disposizione, e che verosimilmente furono usati per pianificare la fuga verso la madrepatria.
Il documento con cui la Corte d'appello milanese contrattacca alle accuse del ministro Nordio è la relazione con cui il suo presidente Giuseppe Ondei ha risposto martedì scorso alle contestazioni del ministro. Dopo avere ripercorso tutte le tappe della vicenda, Ondei ricorda che il dipartimento di Stato americano aveva segnalato al ministero la pericolosità di Uss e insistito perché non gli venisse consentito di lasciare il carcere. A questo dispaccio statunitense il ministero rispose il 6 dicembre tranquillizzando gli alleati, spiegando che in Italia gli arresti domiciliari sono equiparati al carcere e che nel caso di Uss erano resi ancora più sicuri dall'applicazione del braccialetto elettronico. Ondei fa presente che il ministero, in base all'articolo 714 del codice di procedura penale poteva dapprima opporsi alla concessione dei domiciliari, e dopo l'allarme degli americani chiedere la loro revoca. Invece via Arenula tacque.
Così per tre lunghi mesi Uss ebbe modo di preparare la fuga in grande stile. Si era già capito che ad agevolarla erano state le condizioni piuttosto generose previste dal decreto che lo faceva uscire dal carcere, e lo autorizzava a mantenere alcuni contatti con l'esterno. Ma ieri si scopre che tornando a casa il russo potè tornare in possesso anche di due smartphone di cui le autorità Usa avevano chiesto il sequestro sin dal mese di ottobre, e che invece vennero prelevati a casa del magnate dalla Guardia di finanza nella villa di Basiglio della famiglia Uss solo il 13 marzo, nove giorni prima che l'uomo svanisse. Il procuratore generale Francesca Nanni ha chiesto chiarimenti sul ritardo alla Procura, che a sua volta indaga sulle complicità nella fuga di cui Uss ha sicuramente goduto.
Insomma, un groviglio dove la sensazione dello scaricabarile è palpabile, e dove è difficile prevedere chi sarà alla fine a rispondere del pasticcio. A funzionare, da quanto scritto nella relazione di Ondei, è stata solo la reazione dei carabinieri nel momento in cui Uss il 22 marzo disattiva il braccialetto: tra l'allarme alla centrale operativa, l'intervento del numero verde che vigila sui braccialetti e l'arrivo della pattuglia alla villetta di Basiglio passa davvero una manciata di minuti. Ma nel momento in cui un brigadiere dell'Arma bussa alla sua porta Uss è già lanciato verso l'Ata, lo scalo privato di Linate, dove l'aereo per Belgrado sta scaldando i motori.
Insieme a Uss spariscono i suoi segreti, i suoi traffici di tecnologia militare, i suoi
contatti in America. Qui restano un sacco di interrogativi. E, come dice allargando le braccia uno dei protagonisti: «Va bene tutto, ma due con la barba finta il governo non poteva mandarli davanti alla villa di Basiglio?».
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